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Bertoldo e Bertoldino (col Cacasenno di Aldo Banchieri) - 1. Le sottilissime astuzie di Bertoldo, 03. Astuzia di Bertoldo. Lite donnesca. Sentenza giusta del Re. Prudenza del Re. Lodi date dal Re alle donne.

03. Astuzia di Bertoldo. Lite donnesca. Sentenza giusta del Re. Prudenza del Re. Lodi date dal Re alle donne.

Astuzia di Bertoldo.

Partissi dunque Bertoldo, e andatosene a casa e pigliato uno asino vecchio, ch'egli aveva, tutto scorticato sulla schiena e sui fianchi e mezo mangiato dalle mosche, e montatovi sopra, tornò di nuovo alla corte del Re accompagnato da un milione di mosche e di tafani che tutti insieme facevano un nuvolo grande, sì che a pena si vedeva, e gionto avanti al Re, disse: Bertoldo.

Eccomi, o Re, tornato a te.

Re.

Non ti diss'io che, se tu non tornavi a me come mosca, ch'io ti farei gettar via il capo dal busto? Bertoldo.

Le mosche non vanno elleno sopra le carogne?

Re.

Sì, vanno.

Bertoldo.

Or eccomi tornato sopra una carogna scorticata e tutta carica di mosche, come tu vedi, che quasi l'hanno mangiata tutta e me insieme ancora: onde mi tengo aver servato quel tanto che io di far promisi. Re.

Tu sei un grand'uomo. Or va, ch'io ti perdono, e voi menatelo a mangiare. Bertoldo.

Non mangia colui che ancora non ha finito l'opera. Re.

Perché, hai tu forse altro da dire?

Bertoldo.

Io non ho ancora incominciato.

Re.

Orsù, manda via quella carogna, e tu ritirati alquanto da banda perché io veggio venire in qua due donne che devono forse voler audienza da me; e come io le avrò ispedite, tornaremo di nuovo a ragionare insieme.

Bertoldo.

Io mi ritiro, ma guarda a dare la sentenza giusta.

Lite donnesca.

Vennero dunque due donne dinanzi al Re, e una di quelle aveva rubato uno specchio di cristallo all'altra, e quella di chi era lo specchio si chiamava Aurelia, e l'altra che l'aveva rubato si chiamava Lisa, la quale aveva il detto specchio in mano. E Aurelia querelandosi innanzi al re, disse:

Aurelia. Sappi, Signore, che costei ieri sera fu nella camera mia e mi rubbò quello specchio di cristallo ch'ella tiene in mano. Io gliel'ho addimandato più volte, ed essa me lo nega e non me lo vuol restituire, e però io t'addimando giustizia. Lisa. Questa non è la verità, anzi sono più giorni ch'io lo comprai dei miei danari e non so come costei abbia tanto ardire di chiedere quello che non è suo. Aurelia. Deh, giustissimo Re, non dar credito alle false parole di costei, perché ella è una ladra publica che non ha conscienza né fede, e sappi tua Maestà che io non mi sarei mossa a chiedere quello che non è mio per tutto l'oro del mondo. Lisa. O che conscienza grossa! Sa ella mo' bene dare ad intendere di essere lei quella dalla ragione, e chi ti credesse, ah, sorella, ne sapresti trovare delle megliori? Ma noi siamo dinanzi a un giudice che conoscerà la mia innocenza e la tua falsità.

Aurelia. O terra, perché non t'apri a inghiottire questa ribalda che con tanta sfacciataggine nega quello che è mio, e di più si sforza dare ad intendere di esser lei quella dalla ragione e io dal torto? O Cielo, scopri tu la verità di questo fatto.

Sentenza giusta del Re.

Re.

Orsù, achettatevi, che or ora io vi consolarò. Pigliate qua voi questo specchio e spezzatelo minutamente e diassene tanti pezzi all'una quanto all'altra e così tutte dua saranno contente. Che ne dite voi?

Lisa. Io sì mi contento, perché così sarà finita la lite fra noi, né gridaremo più insieme.

Aurelia. No, no. Diasi pur più tosto a lei che romperlo, perché io non potrei mai soffrire di vedere che fosse spezzato così bello specchio; e chi sa che un giorno, rimorsa dalla conscienza, ella non me lo renda. Portiselo dunque costei intiero a casa e sia qui finita la nostra tenzone.

Lisa. La sentenza del re mi piace; spezzisi pure, che mai più non avremo da rugare insieme. Su, che si venghi al fatto.

Prudenza del Re.

Re.

Orsù, io conosco veramente che lo specchio è di colei che non vuole che si spezzi; perché al pianto, alle lagrime e al supplicare ch'ella fa, quanto al giudicio mio, mostra segno chiarissimo ch'ella n'è patrona e che quest'altra gliel'ha involato. Diasi adunque lo specchio a lei e mandisi via l'altra vergognosamente. Aurelia. Io ti ringrazio infinitamente, benignissimo Signore, poiché conoscendo con la tua prudenza la malizia di costei, hai dato la sentenza retta, come giusto giudice; onde pregarò sempre il cielo che ti conservi e ti dia tutte le prosperità che desideri.

Re.

Va' in pace, e sforzati d'esser da bene. In vero si conosce che lo specchio è di costei perché al lagrimar ch'ella faceva, mostrava chiaro segno ch'ei fosse suo. Bertoldo ridendo di tal sentenza, dice:

Bertoldo.

Questa non è buona cognizione, o Re.

Re.

Perché non è buona cognizione?

Bertoldo.

Tu credi dunque alle lagrime delle donne?

Re.

Perché non vuoi tu ch'io gli creda? Bertoldo.

Or non sai tu che il suo pianto è un inganno? e che ogni cosa ch'esse fanno o dicono è l'istesso, però ch'esse piangono con gli occhi e ridono con il cuore; ti sospirano dinanzi, poi ti burlano di dietro, parlano al contrario di quello ch'esse pensano, e pensano al contrario di quello ch'esse parlano; però il versare delle lagrime loro, lo sbattersi, la mutazione della faccia, tutte sono fraudi, inganni e tradimenti che gli scorrono per la mente per adempire i loro ingordi e insaziabili desiderii. Lodi date dal Re alle donne.

Re.

Tanto hanno in esse bontà le donne, senno e prudenza, quanto alcuna di queste cose da te impostegli a torto; e se a sorte pur una pecca per fragilità è degna di scusa, per esser ella più molle e più facile al cadere in questi difetti che non è l'uomo. Ma dimmi un poco, non si può dire che sia morto colui che sia separato da tal sesso? Prima, la donna ama il suo marito, genera i figliuoli, li alleva, li nodrisce, li costuma e gli mostra tutte le buone creanze. La donna regge la casa, mantien la robba, custodisce la famiglia, sollecita le serve e provede a tutti i disordini che possono avvenire in casa, ama con fedeltà, è dolce da praticare, nobile da conversare, schietta nel contrattare e discreta nel comandare, pronta nell'ubidire, onesta nel ragionare, modesta nel procedere, sobria nel mangiare, parca nel bere, mansueta con quelli di casa e trattabile con quelli di fuora. In somma, la donna apresso l'uomo si può dire ch'ella sia una gemma orientale, legata in oro purissimo; e per una, che caschi in qualche frenesia o umore stravagante, mille all'incontro ne sono onestissime e da bene; e però io tengo che la sentenza da me data sia stata giusta. Bertoldo.

Veramente si vede che tu ami molto le donne, e però hai fatto sì bella spiegata di parole in lode loro. Ma che dirai tu se io ti farò tornare a dietro tutto quello che in suo favore hai detto, prima che tu vadi a dormire doman di sera?

Re.

Quando tu farai questo, il quale tengo che sia impossibile che lo facci, io dirò che tu sei il primo uomo del mondo; ma se tu non lo farai io ti farò impiccar subito.

Bertoldo.

Orsù, a rivederci domani.

Così, essendo sera, il Re si ritirò nelle sue stanze e Bertoldo, dopo aver cenato, andò a dormire alla stalla per quella notte, andando fantasticando fra sé di trovar strada acciò che il Re cantasse alla roversa di quanto avea detto in lode delle donne; e, avendo pensato una nuova astuzia, si pose a dormire, aspettando il giorno per porla in essecuzione.

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03. Astuzia di Bertoldo. Lite donnesca. Sentenza giusta del Re. Prudenza del Re. Lodi date dal Re alle donne. 03. Bertoldo's cunning. Women's quarrel. Just sentence of the King. Prudence of the King. Praises given by the King to women.

Astuzia di Bertoldo.

Partissi dunque Bertoldo, e andatosene a casa e pigliato uno asino vecchio, ch'egli aveva, tutto scorticato sulla schiena e sui fianchi e mezo mangiato dalle mosche, e montatovi sopra, tornò di nuovo alla corte del Re accompagnato da un milione di mosche e di tafani che tutti insieme facevano un nuvolo grande, sì che a pena si vedeva, e gionto avanti al Re, disse: Bertoldo.

Eccomi, o Re, tornato a te.

Re.

Non ti diss'io che, se tu non tornavi a me come mosca, ch'io ti farei gettar via il capo dal busto? Bertoldo.

Le mosche non vanno elleno sopra le carogne?

Re.

Sì, vanno.

Bertoldo.

Or eccomi tornato sopra una carogna scorticata e tutta carica di mosche, come tu vedi, che quasi l'hanno mangiata tutta e me insieme ancora: onde mi tengo aver servato quel tanto che io di far promisi. Re.

Tu sei un grand'uomo. Or va, ch'io ti perdono, e voi menatelo a mangiare. Bertoldo.

Non mangia colui che ancora non ha finito l'opera. Re.

Perché, hai tu forse altro da dire?

Bertoldo.

Io non ho ancora incominciato.

Re.

Orsù, manda via quella carogna, e tu ritirati alquanto da banda perché io veggio venire in qua due donne che devono forse voler audienza da me; e come io le avrò ispedite, tornaremo di nuovo a ragionare insieme.

Bertoldo.

Io mi ritiro, ma guarda a dare la sentenza giusta.

Lite donnesca.

Vennero dunque due donne dinanzi al Re, e una di quelle aveva rubato uno specchio di cristallo all'altra, e quella di chi era lo specchio si chiamava Aurelia, e l'altra che l'aveva rubato si chiamava Lisa, la quale aveva il detto specchio in mano. E Aurelia querelandosi innanzi al re, disse:

Aurelia. Sappi, Signore, che costei ieri sera fu nella camera mia e mi rubbò quello specchio di cristallo ch'ella tiene in mano. Io gliel'ho addimandato più volte, ed essa me lo nega e non me lo vuol restituire, e però io t'addimando giustizia. Lisa. Questa non è la verità, anzi sono più giorni ch'io lo comprai dei miei danari e non so come costei abbia tanto ardire di chiedere quello che non è suo. Aurelia. Deh, giustissimo Re, non dar credito alle false parole di costei, perché ella è una ladra publica che non ha conscienza né fede, e sappi tua Maestà che io non mi sarei mossa a chiedere quello che non è mio per tutto l'oro del mondo. Lisa. O che conscienza grossa! Sa ella mo' bene dare ad intendere di essere lei quella dalla ragione, e chi ti credesse, ah, sorella, ne sapresti trovare delle megliori? Ma noi siamo dinanzi a un giudice che conoscerà la mia innocenza e la tua falsità.

Aurelia. O terra, perché non t'apri a inghiottire questa ribalda che con tanta sfacciataggine nega quello che è mio, e di più si sforza dare ad intendere di esser lei quella dalla ragione e io dal torto? O Cielo, scopri tu la verità di questo fatto.

Sentenza giusta del Re.

Re.

Orsù, achettatevi, che or ora io vi consolarò. Pigliate qua voi questo specchio e spezzatelo minutamente e diassene tanti pezzi all'una quanto all'altra e così tutte dua saranno contente. Che ne dite voi?

Lisa. Io sì mi contento, perché così sarà finita la lite fra noi, né gridaremo più insieme.

Aurelia. No, no. Diasi pur più tosto a lei che romperlo, perché io non potrei mai soffrire di vedere che fosse spezzato così bello specchio; e chi sa che un giorno, rimorsa dalla conscienza, ella non me lo renda. Portiselo dunque costei intiero a casa e sia qui finita la nostra tenzone.

Lisa. La sentenza del re mi piace; spezzisi pure, che mai più non avremo da rugare insieme. Su, che si venghi al fatto.

Prudenza del Re.

Re.

Orsù, io conosco veramente che lo specchio è di colei che non vuole che si spezzi; perché al pianto, alle lagrime e al supplicare ch'ella fa, quanto al giudicio mio, mostra segno chiarissimo ch'ella n'è patrona e che quest'altra gliel'ha involato. Diasi adunque lo specchio a lei e mandisi via l'altra vergognosamente. Aurelia. Io ti ringrazio infinitamente, benignissimo Signore, poiché conoscendo con la tua prudenza la malizia di costei, hai dato la sentenza retta, come giusto giudice; onde pregarò sempre il cielo che ti conservi e ti dia tutte le prosperità che desideri.

Re.

Va' in pace, e sforzati d'esser da bene. In vero si conosce che lo specchio è di costei perché al lagrimar ch'ella faceva, mostrava chiaro segno ch'ei fosse suo. Bertoldo ridendo di tal sentenza, dice:

Bertoldo.

Questa non è buona cognizione, o Re.

Re.

Perché non è buona cognizione?

Bertoldo.

Tu credi dunque alle lagrime delle donne?

Re.

Perché non vuoi tu ch'io gli creda? Bertoldo.

Or non sai tu che il suo pianto è un inganno? e che ogni cosa ch'esse fanno o dicono è l'istesso, però ch'esse piangono con gli occhi e ridono con il cuore; ti sospirano dinanzi, poi ti burlano di dietro, parlano al contrario di quello ch'esse pensano, e pensano al contrario di quello ch'esse parlano; però il versare delle lagrime loro, lo sbattersi, la mutazione della faccia, tutte sono fraudi, inganni e tradimenti che gli scorrono per la mente per adempire i loro ingordi e insaziabili desiderii. Lodi date dal Re alle donne.

Re.

Tanto hanno in esse bontà le donne, senno e prudenza, quanto alcuna di queste cose da te impostegli a torto; e se a sorte pur una pecca per fragilità è degna di scusa, per esser ella più molle e più facile al cadere in questi difetti che non è l'uomo. Ma dimmi un poco, non si può dire che sia morto colui che sia separato da tal sesso? Prima, la donna ama il suo marito, genera i figliuoli, li alleva, li nodrisce, li costuma e gli mostra tutte le buone creanze. La donna regge la casa, mantien la robba, custodisce la famiglia, sollecita le serve e provede a tutti i disordini che possono avvenire in casa, ama con fedeltà, è dolce da praticare, nobile da conversare, schietta nel contrattare e discreta nel comandare, pronta nell'ubidire, onesta nel ragionare, modesta nel procedere, sobria nel mangiare, parca nel bere, mansueta con quelli di casa e trattabile con quelli di fuora. In somma, la donna apresso l'uomo si può dire ch'ella sia una gemma orientale, legata in oro purissimo; e per una, che caschi in qualche frenesia o umore stravagante, mille all'incontro ne sono onestissime e da bene; e però io tengo che la sentenza da me data sia stata giusta. Bertoldo.

Veramente si vede che tu ami molto le donne, e però hai fatto sì bella spiegata di parole in lode loro. Ma che dirai tu se io ti farò tornare a dietro tutto quello che in suo favore hai detto, prima che tu vadi a dormire doman di sera?

Re.

Quando tu farai questo, il quale tengo che sia impossibile che lo facci, io dirò che tu sei il primo uomo del mondo; ma se tu non lo farai io ti farò impiccar subito.

Bertoldo.

Orsù, a rivederci domani.

Così, essendo sera, il Re si ritirò nelle sue stanze e Bertoldo, dopo aver cenato, andò a dormire alla stalla per quella notte, andando fantasticando fra sé di trovar strada acciò che il Re cantasse alla roversa di quanto avea detto in lode delle donne; e, avendo pensato una nuova astuzia, si pose a dormire, aspettando il giorno per porla in essecuzione.