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La Contessa di Karolystria by Antonio Ghislanzoni, CAPITOLO III

Non era scritto nei fatti che il nostro gentiluomo in gonnella, dovesse passare la intiera notte in quell'antro di lupi polizieschi. Infatti, trascorsi pochi minuti, i catenacci cigolarono, e il commissario ricomparendo sulla soglia annunzio con lugubre voce al detenuto la visita del conte Bradamano di Karolystria, elettore dell'impero e arcidecano del grand'ordine della Cervia Massonica. --Il marito! pensò il visconte trasalendo; s'egli si avvede dell'equivoco, la contessa è perduta... Procuriamo di ritardare la catastrofe... E mentre il conte Bradamano di Karolystria si avanzava con passo da tiranno, stampando sul suolo delle orme che spaccavano i mattoni, il nostro cavalleresco eroe cadeva in ginocchio a ridosso d'una seggiola appoggiata alla muraglia, e giungendo le mani in atto dì pregare, seppelliva in quelle le sue guancie rubiconde e paffute. Il conte Bradamano pregò il commissario di ritirarsi, e facendosi più innanzi, investì il genuflesso con una occhiata fulminea. I suoi speroni mandavano un sinistro cigolìo.

La persona, che in atto di umile e desolata preghiera gli volgeva le spalle e le calcagne, non poteva che essere una donna colpevole. Il cappellino bizzarro a piume azzurre, la magnifica veste da amazzone stabilivano l'identità di quella dama. Quel cappellino il conte l'aveva donato a sua moglie nell'anniversario del malassortito imeneo. L'elegante ciarpa di raso, ricamata in oro, che il visconte teneva annodata al collo, ricordava al terribile marito un altro regalo da lui fatto all'indegna, in un lucido intervallo di tenerezza coniugale... Quella ciarpa gli era costata cinquecento rubli... Cappellino, amazzone, ciarpa, tutto concorreva a denunciare la perfida moglie... La contessa era là... L'occhio grifagno, l'artiglio adunco del marito le stavano sopra. --Sciagurata! tu preghi? esordì il conte con voce sepolcrale... Il visconte, compreso dalla stranezza quasi inverosimile della propria situazione, sprofondando la testa nelle mani, diede in uno scroscio di risa che sembrava una scarica di singhiozzi. --E tu piangi! proseguì l'altro, ingrossando la voce... La seggiola sulla quale il visconte era appoggiato, scricchiolava sotto gli scoppi delle sue risa irrefrenabili. --Per chi preghi? Per chi piangi?... Ma alzati, dunque! Questi mattoni screpolati ti sciupano la gonnella... Dio! uno strappo!... due strappi!... Quante ammaccature sul cappello!... Un cappello che mi è costato seicento rubli!... Non importa... Oramai tu hai finito di smungermi... Le tue lagrime, le tue moine non fanno più breccia. Mi hai detto mille volte che ero un mezzo uomo; diverrò uomo tutto intero, e un uomo corazzato, per giunta. Non credere che io sia mai per ricondurti al castello dei miei padri. Se ho spedito dei telegrammi a cento città dello impero per ottenere il tuo arresto, l'ho fatto perchè pretendo, perchè esigo che tu mi renda il denaro e i gioielli che mi hai rubati. Mi hai tu capito, o femmina immonda? Il mio denaro, i miei gioielli, e poi il diavolo ti porti!

Le parole: _denaro_, _gioielli_, erano articolate su due note rauche e stridenti, che mettevano raccapriccio.

Il visconte, sempre inginocchiato colla testa sprofondata tra le braccia, studiava uno stratagemma per uscire da quella posizione che oramai cominciava ad annoiarlo.

--Ah! tu vuoi dunque che io ricorra ai mezzi estremi! riprendeva l'altro con voce più cupa; ebbene: tal sia di te; ma bada che questa volta ti lascerò il segno... Sai tu cosa significa la forza irresistibile? Rispondi, sciagurata, lo sai?... Or bene: te lo diranno gli avvocati, te lo diranno i giurati alla Corte di Assise... quand'io con queste mie mani, tramutate in artigli da pantera, ti avrò afferrata per il collo e strozzata come un pollastro... E il conte Bradamano, cogli occhi iniettati di sangue, colla bocca spumosa e le narici frementi, già stava per slanciarsi a ghermire la sua vittima, quando il visconte, balzato in piedi lestamente, lo investì di fronte e gli applicò sulle guancie due schiaffi così poderosi, che avrebbero ammaccata la faccia della luna. Il conte barcollò... Tentò di avventarsi... voleva parlare... voleva gridare... ma le gambe lo reggevano a stento e la voce non gli usciva dalla strozza. All'impeto della collera era succeduta in lui una sincope di stupore. Schiaffeggiato da una donna!... Un conte Bradamano, un elettore dell'impero, un arcidecano del grand'ordine della Cervia Massonica, che si riteneva inviolabile...! E quella donna (oramai egli era in grado di giudicarne) non era sua moglie, bensì una incognita minacciosa e terribile, che aveva mostrato di saper picchiare più forte di lui.

Mentre i due antagonisti si sfidavano collo sguardo, il commissario di polizia entrò nella stanza, e inchinandosi rispettosamente, presentò al conte una lettera.

Lo scritto era umido ancora... i caratteri eran quelli della contessa di Karolystria.

Livido dallo stupore, il conte leggeva battendo i denti.

«Uomo brutale, «È vano che tu mi insegua. Al momento in cui ti verrà consegnato questo scritto, io non sarò più in Borgoflores; la mia puledra mi trarrà lungi, ben lungi, ben lungi... Se vorrai prendere alla _Maga rossa_ delle informazioni sulla mia partenza, ti converrà saldare i due conti che qui ti accludo, due conti da me liquidati e fatti iscrivere al tuo nome. Tanto per tua norma.

»ANNA MARIA.» Sulle due noticine involte nella lettera stava scritto: » Abito di moerro confezionato, con guarnizione di raso e bott. di corallo L. 600 50 » Per rinfresco a due cavalli e vino al doganiere » 3 50 » Candele steariche e servizio » 10 75 --Commissario, urlò il conte Bradamano, sbarrando gli occhi come un ossesso; per quante porte credete voi che una donna a cavallo possa uscire da Borgoflores? --La cittadella ha dieci porte, rispose il commissario, e queste, salvo errore, servono tanto per l'uscita come per l'entrata delle persone d'ambo i sessi. --Or bene: è necessario che sull'istante, da ciascuna porta escano due carabinieri a cavallo... Si tratta di inseguire mia moglie... avete capito, signor commissario?... mia moglie che mi tradisce, che mi deruba, che mi assassina nell'onore... Su, dunque! Che fate lì, con quell'aria da trasognato?... Se entro un'ora voi non riuscite a far trascinare quella perfida a' miei piedi, vi do parola che domani sarete dimesso dall'impiego e punito della vostra negligenza con ventiquattro giri di verghe. Il commissario, punto atterrito da quelle minaccie, rispose colla massima calma: --Vi prego, o signore, di riflettere che noi ci troviamo in presenza di una dama la quale venne testè arrestata sotto l'imputazione di essere vostra moglie. Come si spiega ora?...

--Se costei fosse mia moglie, disse il conte bruscamente, credete voi, uomo di poco senno, che io reclamerei l'intervento dei vostri carabinieri per arrestarla? --Gentildonna, riprese il commissario indirizzandosi al visconte, quando noi, in ossequio agli ordini ricevuti, vi abbiamo intimato di presentarci il passaporto, voi ci avete esibito una carta da visita, affermando nello stesso tempo a viva voce di essere voi la contessa Anna Maria di Karolystria. Ora, come avete udito, l'eccellentissimo signor conte oppone un formale diniego alle vostre asserzioni.... Degnatevi dunque, o signora, di sciogliermi questo enigma. Sebbene nella condotta del signor conte io riconosca esservi qualche cosa di anormale e di inesplicabile, voi converrete, o signora, che anche il vostro contegno in questa imbrogliata vertenza non si presenta abbastanza corretto per escludere ogni supposizione meno favorevole alla vostra onoratezza, Il visconte, che fin là era rimasto mutolo cercando una scappatoia per uscire da quella falsa posizione, atteggiando il volto a mestizia, con voce supplichevole rispose: --Io vi ho dichiarato il mio nome, io vi ho presentato un documento, mio marito poco dianzi ha mostrato di riconoscermi. Signor commissario, ne attesto il cielo, ne attesto tutti i santi, io sono la sola donna che sulla terra abbia il dritto di chiamarsi Anna Maria contessa di Karolystria, Via, Bradamano! guardami bene... riconoscimi... Questo elegante cappellino ch'io tengo in testa... questa splendida ciarpa ricamata in oro... questa veste... questi gioielli... non rappresentano altrettanti pegni della tua generosità e del fervido amore che mi portavi in altri tempi? Il conte guardava fissamente, cogli occhi gonfi di lacrime, e pareva affermasse con meccanico ondulamento del capo.

Poi, come riscuotendosi da una momentanea allucinazione, slanciossi col pugno alzato verso il visconte.

--In nome di Dio! esclamò questi riparandosi dietro le spalle del commissario, difendetemi da questo pazzo furioso!

--Pazzo! lo aveva sospettato... Venite, povera contessa... mettetevi in salvo!

Il conte, avventandosi con tutto l'impeto della sua rabbia, andò a stramazzare presso l'uscio che si chiudeva fragorosamente dietro i passi del commissario e del visconte, --Maledizione! Maledizione! ruggiva lo sventurato, avvoltolandosi sul pavimento.

Frattanto, il commissario spediva al manicomio un avviso perché gli mandassero due guardie provvedute di una camicia di forza; e il visconte, rimasto libero, scambiate poche parole con un doganiere che lo attendeva alla porta, si dirigeva a passo concitato verso l'albergo della _Maga-rossa_. Chi era quel doganiere? domanderanno i lettori meno perspicaci. Perché era là, appostato, ad attendere il visconte? Cosa si dissero in quel breve colloquio?...

Il doganiere era quello stesso (fate di sovvenirvene), al quale il visconte, al momento del suo arresto, aveva affidata la puledra perché la conducesse all'albergo della _Maga rossa_. Il buon ragazzo, adempiendo scrupolosamente alla commissione ricevuta, aveva parlato colla contessa, e questa a sua volta lo aveva incaricato, se per caso gli fosse occorso di poter abboccarsi col visconte, di comunicargli colla maggior segretezza i suoi divisamenti.

Per tal guisa, il nostro gentiluomo venne a sapere che la bella signora di Karolystria intendeva partire quella notte istessa alla volta di Mirlovia; che giunta colà, essa avrebbe pernottato all'albergo del _Pappagallo_ per proseguire il viaggio al mattino seguente; ch'ella aveva ripresa la sua puledra, lasciando il cavallo del visconte nella scuderia dell'albergo; che infine gli abiti del visconte erano stati rinviati alla foresta di Bathelmatt a mezzo di un guattero di buona volontà, del quale non si era più avuta contezza. Raccolte queste informazioni, e promessa una larga mercede al doganiere, il visconte, come abbiam detto, correva alla _Maga rossa_; quivi giunto traeva dalla stalla il suo Morello, e senza mutare d'abiti, nel suo splendido abbigliamento da amazzone, montava in sella e partiva di galoppo sulle orme della bella fuggitiva. Il visconte amava dunque la contessa? No. Il visconte amava le avventure, ed era anche (è tempo che i lettori ne siano informati) un enfatico propugnatore dell'emancipazione della donna.

Non era scritto nei fatti che il nostro gentiluomo in gonnella,
dovesse passare la intiera notte in quell'antro di lupi polizieschi.

Infatti, trascorsi pochi minuti, i catenacci cigolarono, e il
commissario ricomparendo sulla soglia annunzio con lugubre voce al
detenuto la visita del conte Bradamano di Karolystria, elettore
dell'impero e arcidecano del grand'ordine della Cervia Massonica.

--Il marito! pensò il visconte trasalendo; s'egli si avvede
dell'equivoco, la contessa è perduta... Procuriamo di ritardare la
catastrofe...

E mentre il conte Bradamano di Karolystria si avanzava con passo da
tiranno, stampando sul suolo delle orme che spaccavano i mattoni, il
nostro cavalleresco eroe cadeva in ginocchio a ridosso d'una seggiola
appoggiata alla muraglia, e giungendo le mani in atto dì pregare,
seppelliva in quelle le sue guancie rubiconde e paffute.

Il conte Bradamano pregò il commissario di ritirarsi, e facendosi più
innanzi, investì il genuflesso con una occhiata fulminea. I suoi
speroni mandavano un sinistro cigolìo.

La persona, che in atto di umile e desolata preghiera gli volgeva le
spalle e le calcagne, non poteva che essere una donna colpevole. Il
cappellino bizzarro a piume azzurre, la magnifica veste da amazzone
stabilivano l'identità di quella dama. Quel cappellino il conte
l'aveva donato a sua moglie nell'anniversario del malassortito imeneo.
L'elegante ciarpa di raso, ricamata in oro, che il visconte teneva
annodata al collo, ricordava al terribile marito un altro regalo da
lui fatto all'indegna, in un lucido intervallo di tenerezza
coniugale... Quella ciarpa gli era costata cinquecento rubli...
Cappellino, amazzone, ciarpa, tutto concorreva a denunciare la perfida
moglie... La contessa era là... L'occhio grifagno, l'artiglio adunco
del marito le stavano sopra.

--Sciagurata! tu preghi? esordì il conte con voce sepolcrale...

Il visconte, compreso dalla stranezza quasi inverosimile della propria
situazione, sprofondando la testa nelle mani, diede in uno scroscio di
risa che sembrava una scarica di singhiozzi.

--E tu piangi! proseguì l'altro, ingrossando la voce...

La seggiola sulla quale il visconte era appoggiato, scricchiolava
sotto gli scoppi delle sue risa irrefrenabili.

--Per chi preghi? Per chi piangi?... Ma alzati, dunque! Questi mattoni
screpolati ti sciupano la gonnella... Dio! uno strappo!... due
strappi!... Quante ammaccature sul cappello!... Un cappello che mi è
costato seicento rubli!... Non importa... Oramai tu hai finito di
smungermi... Le tue lagrime, le tue moine non fanno più breccia. Mi
hai detto mille volte che ero un mezzo uomo; diverrò uomo tutto
intero, e un uomo corazzato, per giunta. Non credere che io sia mai
per ricondurti al castello dei miei padri. Se ho spedito dei
telegrammi a cento città dello impero per ottenere il tuo arresto,
l'ho fatto perchè pretendo, perchè esigo che tu mi renda il denaro e i
gioielli che mi hai rubati. Mi hai tu capito, o femmina immonda? Il
mio denaro, i miei gioielli, e poi il diavolo ti porti!

Le parole: _denaro_, _gioielli_, erano articolate su due note rauche e
stridenti, che mettevano raccapriccio.

Il visconte, sempre inginocchiato colla testa sprofondata tra le
braccia, studiava uno stratagemma per uscire da quella posizione che
oramai cominciava ad annoiarlo.

--Ah! tu vuoi dunque che io ricorra ai mezzi estremi! riprendeva
l'altro con voce più cupa; ebbene: tal sia di te; ma bada che questa
volta ti lascerò il segno... Sai tu cosa significa la forza
irresistibile? Rispondi, sciagurata, lo sai?... Or bene: te lo diranno
gli avvocati, te lo diranno i giurati alla Corte di Assise... quand'io
con queste mie mani, tramutate in artigli da pantera, ti avrò
afferrata per il collo e strozzata come un pollastro...

E il conte Bradamano, cogli occhi iniettati di sangue, colla bocca
spumosa e le narici frementi, già stava per slanciarsi a ghermire la
sua vittima, quando il visconte, balzato in piedi lestamente, lo
investì di fronte e gli applicò sulle guancie due schiaffi così
poderosi, che avrebbero ammaccata la faccia della luna.

Il conte barcollò...

Tentò di avventarsi... voleva parlare... voleva gridare... ma le gambe
lo reggevano a stento e la voce non gli usciva dalla strozza.
All'impeto della collera era succeduta in lui una sincope di stupore.

Schiaffeggiato da una donna!... Un conte Bradamano, un elettore
dell'impero, un arcidecano del grand'ordine della Cervia Massonica,
che si riteneva inviolabile...!

E quella donna (oramai egli era in grado di giudicarne) non era sua
moglie, bensì una incognita minacciosa e terribile, che aveva mostrato
di saper picchiare più forte di lui.

Mentre i due antagonisti si sfidavano collo sguardo, il commissario di
polizia entrò nella stanza, e inchinandosi rispettosamente, presentò
al conte una lettera.

Lo scritto era umido ancora... i caratteri eran quelli della contessa
di Karolystria.

Livido dallo stupore, il conte leggeva battendo i denti.

«Uomo brutale,

«È vano che tu mi insegua. Al momento in cui ti verrà consegnato
questo scritto, io non sarò più in Borgoflores; la mia puledra mi
trarrà lungi, ben lungi, ben lungi... Se vorrai prendere alla _Maga
rossa_ delle informazioni sulla mia partenza, ti converrà saldare i
due conti che qui ti accludo, due conti da me liquidati e fatti
iscrivere al tuo nome. Tanto per tua norma.

»ANNA MARIA.»

Sulle due noticine involte nella lettera stava scritto:

» Abito di moerro confezionato, con guarnizione
di raso e bott. di corallo L. 600 50

» Per rinfresco a due cavalli e
vino al doganiere » 3 50

» Candele steariche e servizio » 10 75

--Commissario, urlò il conte Bradamano, sbarrando gli occhi come un
ossesso; per quante porte credete voi che una donna a cavallo possa
uscire da Borgoflores?

--La cittadella ha dieci porte, rispose il commissario, e queste,
salvo errore, servono tanto per l'uscita come per l'entrata delle
persone d'ambo i sessi.

--Or bene: è necessario che sull'istante, da ciascuna porta escano due
carabinieri a cavallo... Si tratta di inseguire mia moglie... avete
capito, signor commissario?... mia moglie che mi tradisce, che mi
deruba, che mi assassina nell'onore... Su, dunque! Che fate lì, con
quell'aria da trasognato?... Se entro un'ora voi non riuscite a far
trascinare quella perfida a' miei piedi, vi do parola che domani
sarete dimesso dall'impiego e punito della vostra negligenza con
ventiquattro giri di verghe.

Il commissario, punto atterrito da quelle minaccie, rispose colla
massima calma:

--Vi prego, o signore, di riflettere che noi ci troviamo in presenza
di una dama la quale venne testè arrestata sotto l'imputazione di
essere vostra moglie. Come si spiega ora?...

--Se costei fosse mia moglie, disse il conte bruscamente, credete voi,
uomo di poco senno, che io reclamerei l'intervento dei vostri
carabinieri per arrestarla?

--Gentildonna, riprese il commissario indirizzandosi al visconte,
quando noi, in ossequio agli ordini ricevuti, vi abbiamo intimato di
presentarci il passaporto, voi ci avete esibito una carta da visita,
affermando nello stesso tempo a viva voce di essere voi la contessa
Anna Maria di Karolystria. Ora, come avete udito, l'eccellentissimo
signor conte oppone un formale diniego alle vostre asserzioni....
Degnatevi dunque, o signora, di sciogliermi questo enigma. Sebbene
nella condotta del signor conte io riconosca esservi qualche cosa di
anormale e di inesplicabile, voi converrete, o signora, che anche il
vostro contegno in questa imbrogliata vertenza non si presenta
abbastanza corretto per escludere ogni supposizione meno favorevole
alla vostra onoratezza,

Il visconte, che fin là era rimasto mutolo cercando una scappatoia per
uscire da quella falsa posizione, atteggiando il volto a mestizia, con
voce supplichevole rispose:

--Io vi ho dichiarato il mio nome, io vi ho presentato un documento,
mio marito poco dianzi ha mostrato di riconoscermi. Signor
commissario, ne attesto il cielo, ne attesto tutti i santi, io sono la
sola donna che sulla terra abbia il dritto di chiamarsi Anna Maria
contessa di Karolystria, Via, Bradamano! guardami bene...
riconoscimi... Questo elegante cappellino ch'io tengo in testa...
questa splendida ciarpa ricamata in oro... questa veste... questi
gioielli... non rappresentano altrettanti pegni della tua generosità e
del fervido amore che mi portavi in altri tempi?

Il conte guardava fissamente, cogli occhi gonfi di lacrime, e pareva
affermasse con meccanico ondulamento del capo.

Poi, come riscuotendosi da una momentanea allucinazione, slanciossi
col pugno alzato verso il visconte.

--In nome di Dio! esclamò questi riparandosi dietro le spalle del
commissario, difendetemi da questo pazzo furioso!

--Pazzo! lo aveva sospettato... Venite, povera contessa... mettetevi
in salvo!

Il conte, avventandosi con tutto l'impeto della sua rabbia, andò a
stramazzare presso l'uscio che si chiudeva fragorosamente dietro i
passi del commissario e del visconte,

--Maledizione! Maledizione! ruggiva lo sventurato, avvoltolandosi sul
pavimento.

Frattanto, il commissario spediva al manicomio un avviso perché gli
mandassero due guardie provvedute di una camicia di forza; e il
visconte, rimasto libero, scambiate poche parole con un doganiere che
lo attendeva alla porta, si dirigeva a passo concitato verso l'albergo
della _Maga-rossa_.

Chi era quel doganiere? domanderanno i lettori meno perspicaci. Perché
era là, appostato, ad attendere il visconte? Cosa si dissero in quel
breve colloquio?...

Il doganiere era quello stesso (fate di sovvenirvene), al quale il
visconte, al momento del suo arresto, aveva affidata la puledra perché
la conducesse all'albergo della _Maga rossa_.

Il buon ragazzo, adempiendo scrupolosamente alla commissione ricevuta,
aveva parlato colla contessa, e questa a sua volta lo aveva
incaricato, se per caso gli fosse occorso di poter abboccarsi col
visconte, di comunicargli colla maggior segretezza i suoi divisamenti.

Per tal guisa, il nostro gentiluomo venne a sapere che la bella
signora di Karolystria intendeva partire quella notte istessa alla
volta di Mirlovia; che giunta colà, essa avrebbe pernottato
all'albergo del _Pappagallo_ per proseguire il viaggio al mattino
seguente; ch'ella aveva ripresa la sua puledra, lasciando il cavallo
del visconte nella scuderia dell'albergo; che infine gli abiti del
visconte erano stati rinviati alla foresta di Bathelmatt a mezzo di un
guattero di buona volontà, del quale non si era più avuta contezza.

Raccolte queste informazioni, e promessa una larga mercede al
doganiere, il visconte, come abbiam detto, correva alla _Maga rossa_;
quivi giunto traeva dalla stalla il suo Morello, e senza mutare
d'abiti, nel suo splendido abbigliamento da amazzone, montava in sella
e partiva di galoppo sulle orme della bella fuggitiva.

Il visconte amava dunque la contessa? No. Il visconte amava le
avventure, ed era anche (è tempo che i lettori ne siano informati) un
enfatico propugnatore dell'emancipazione della donna.