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La Contessa di Karolystria by Antonio Ghislanzoni, CAPITOLO V

La pioggia era cessata, le nubi si diradavano, e all'orologio del campanile battevano i tre tocchi. --Non mi farebbe male l'adagiarmi per qualche ora su quel divano, pensava il visconte, dopo aver sorseggiato un mezzo bicchiere di malvasia. Alle cinque i miei reverendi ospiti saranno in piedi, ed io... Ma... ho ben inteso? Qualcuno ha bussato alla porta di strada... Due colpi ancora... Chi sarà il malcreato che ad ora sì avanzata della notto osa martellare con tanta ferocia la porta della casa parrocchiale?...

Balzò dalla seggiola, prese il lume, attraversò lesto lesto il porticato, fu alla porta, l'aprì, e il visconte si trovò di faccia un giovinotto, il quale teneva tra le mani un bambinello mal coperto di cenci, che strillava come una capretta... --Chi siete? che volete? domandò il visconte, fissando nello sconosciuto il suo sguardo penetrante e sereno.

--Mi scusi tanto, rispose il giovine, se ho dovuto disturbarlo a quest'ora... Ma si tratta di un caso molto grave... Un disgraziato forastiero che questa notte ha preso alloggio all'albergo del _Pappagallo_, versa in grave pericolo di vita e reclama gli estremi conforti della religione. È necessario che vi affrettiate.... Una bella e pietosa dama, che ha prestato al poveretto le prime cure, mi ha raccomandato la maggior sollecitudine. Voi vedete dunque, monsignore reverendissimo... --Io vedo, rispose il visconte al colmo dello stupore, un neonato che strilla; e tu mi parli di un moribondo!... Che istorie son queste?...

--In verità sono istorie da perderci la testa.... Mentre io bussava alla porta, ho sentito guaire sul lastrico questo marmocchio mal fasciato. Sulle prime ho creduto di aver messo il piede sulla coda d'un gatto... Ma poi... toccando... palpeggiando... ho dovuto convincermi... --Sta bene! interruppe il visconte; tu m'hai l'aria di un buon figliuolo, ed io do fede alle tue asserzioni.... Questa povera creaturina abbandonata dev'essere il frutto di qualche amore illegittimo; fino quando non saremo riusciti ad emancipare la donna dalla doppia tirannia che la opprime, pur troppo questi casi dello snaturato abbandono della prole non cesseranno di riprodursi spaventevolmente ad obbrobrio della società umana. --Ma.... signor mio reverendissimo... mi permetto di ricordarvi che il povero moribondo dell'albergo del _Pappagallo_... non aspetta che il passaporto per andarsene all'altro mondo. --Là si muore... e qui si nasce! esclamò il visconte, dimenticando per un istante la sua compostezza da sacerdote per assumere l'atteggiamento di Amleto.--Là si muore... e qui si nasce! Prima di assistere al moribondo, è giusto che si provveda al neonato!

E dopo breve silenzio, il visconte si prese il marmocchio tra le braccia, e raccomandato al giovinotto di attenderlo un istante, rientrò frettoloso nella casa parrocchiale.

Puoi tu immaginare, o lettore, da quale farraginoso tramestío di pensieri, di speranze, di dubbi, di desideri e di paure andasse sconvolto, durante quel breve tragitto dalla porta di strada al salottino della parrocchia, il cervello del nostro brillante avventuriere?

Non era egli partito da Borgoflores per correre sulle traccie della vezzosa contessa di Karolystria, che a mezzo del doganiere gli aveva indicato il suo itinerario, e dimostrato il più vivo desiderio di rivederlo? Non dovea la contessa di Karolystria prendere alloggio a quel medesimo albergo del _Pappagallo_, che a lui si apriva quasi prodigiosamente alle tre ore dopo mezzanotte pei reclami di un moribondo? E chi era quel moribondo? E la dama che gli prestava amorosamente le ultime cure, non dovea, secondo ogni probabilità, essere la contessa di Karolystria? E quali ragioni poteva avere la contessa per vegliare al capezzale di un morente, dopo le tante peripezie e i tanti travagli della giornata trascorsa?

Tali le ansie, i dubbî, i desiderî. A sopracarico di questi, nella mente vulcanizzata del visconte si introducevano scrupoli e paure agghiaccianti.--Non era imprudenza e sacrilegio uscire nella strada in abito da prete, ingannando la buona fede di un uomo presso a morire, e ponendosi nella situazione di dover volgere in parodia gli augustissimi riti del sacramento? E quale indignazione nei due buoni reverendi che gli erano stati tanto larghi di cortesie, se all'indomani venisse a svelarsi l'indegno abuso ch'egli aveva fatto delle loro sottane venerande? E poi..... quel bambinello sudicio e ghiacciaio... uscito dalla terra come un rannocchio... E poi... e poi.., Che volete, lettori garbatissimi? Gli uomini sono fatti così... Se in questo complicatissimo guazzabuglio non ci fosse entrata una donna, una bella e seducentissima donna, qual era (ve lo giuro sull'onor mio) la contessa Anna Maria di Karolystria, il nostro eroe avrebbe dato la sveglia ai due sacerdoti per informarli dell'accaduto, e avrebbe seguito una linea di condotta più conforme alla squisitezza del suo temperamento ed alle sue abitudini di perfetto gentiluomo. In quella vece... Osservate! Il bambinello testè raccolto sulla via ora giace adagiato sul divano del salottino. La Società per la protezione dei. fanciulli non ci troverebbe a ridire. Il visconte, prima di andarsene, non ha obliato di avvolgere il neonato in un nitido tovagliolo, al quale ha sovrapposto un soppedaneo per riparare dal freddo le gracili membra. Il lume è spento--le imposte sono ben chiuse--il bambino ha cessato di strillare--egli ha poppato un bicchiere di malvasia, e dorme saporitamente colle gotuzze iniettate di porpora.

Non mostriamoci dunque troppo severi nel giudicare la condotta del visconte. È ben vero che, per far buona figura nella città, egli si è messo in capo un bel cappello a triangoli: ma è forse detto ch'egli intenda di appropriarselo? Appena sbrigate le sue faccende al di fuori, non ha egli in animo di venire a riprendere gli abiti della contessa e di riconsegnare ai due buoni reverendi ciò che ad essi appartiene?

Via! le intenzioni sono ottime. Per conto mio, do piena assoluzione al visconte.

Ed ora, chi mi sa dire di quanti battiti vada pulsando il nobile cuore del nostro eroe dacché egli ha potuto scorgere, al chiarore della pallida luna, la desiata insegna dello albergo del _Pappagallo_?

Si arrestò sulla porta, perplesso, smarrito.

Il garzone che lo accompagnava, dovette spingerlo innanzi.

Entrarono--salirono al secondo piano--si diressero verso la stanza segnata col numero 74.

Il garzone bussò leggermente, la porta si aperse, e una bellissima dama.... (via! non facciamo misteri!) la contessa Anna Maria di Karolystria si presentò sulla soglia.

Era pallida, aveva i capelli in disordine, tremava... Pure, un occhio perspicace (il tuo, per esempio, o lettore) osservando con attenzione quelle sembianze, non vi avrebbe scorta veruna impronta di dolore.

--Troppo tardi, reverendo! esclamò la contessa avanzandosi di un passo verso il falso prete.--Il notaio fu più sollecito del ministro di Dio... Così, se lo zingaro Nabakak non ha potuto, prima di esalare l'ultimo sospiro, accomodare le sue partite coll'Essere supremo, egli ebbe però il conforto di veder raccolta e legalizzata la sua ultima volontà relativamente agli affari terreni. La vostra presenza, o sacerdote, sebbene tardiva, non riesce però inopportuna. Sarà bene che voi assistiate alla lettura del testamento che ora verrà fatta nella sala terrena dello albergo, acciò questo atto di volontà suprema, esercitato dal povero defunto in circostanze straordinarie e gravissime, acquisti maggiore autorità, e possa, all'occasione, venire appoggiato da testimonianze sotto ogni aspetto rispettabili. Signor abate, compiacetevi dunque di seguirmi!

Proferite queste parole, la contessa, dalla porta socchiusa, accennò al notaio di seguirla, e tutti discesero nella sala terrena, dove il padrone dell'albergo li attendeva. --Signori: disse il notaio colla falsa intonazione di una mestizia rettorica; il forastiero alloggiato al numero 74 ha cessato di vivere poco dianzi nelle braccia dell'illustrissima signora contessa Anna Maria di Karolystria qui presente, dopo aver segnato di sua mano un codicillo contenente le sue ultime disposizioni. Vi prego, signore e signori, di prendere atto di questo documento. «Io, sottoscritto, nomino ed istituisco erede di ogni mio avere la signora contessa Anna Maria di Karolystria, la quale pietosamente mi ha assistito negli ultimi istanti della vita, e intendo che immediatamente dopo la mia morte, la suddetta vada al possesso dell'intero mio patrimonio, il quale, essendo in massima parte costituito di enti animati, verrebbe a subire un irremediabile deperimento qualora dovesse anche per poche ore rimanere negletto. Intendo però e voglio che del fenomenale individuo nominato Boo-bom-bomm, da me per molti anni condotto in giro ed esposto sulle piazze di Europa, dove per la sua straordinaria grassezza fu oggetto della universale ammirazione, la signora contessa di Karolystria non abbia a godere che l'usufrutto; e questo fino al giorno in cui alla suddetta venga dato, come io verbalmente le ho indetto, di riconsegnare a chi di diritto quei duecentoventitrè chilogrammi di carne viva, da me illecitamente posseduti e fatti oggetto di lucro. Dopo questo, raccomando la mia anima a Dio e impongo alla mia erede di far celebrare cento messe ad espiazione de' miei peccati. » Segnato: NABAKAK.» Durante la lettura di quel documento, la contessa non avea mai distolti gli occhi dal visconte. I tratti di quel volto aristocraticamente profilato, che tanto distonavano colle rozze e mal foggiate sottane del prete, richiamavano al di lei pensiero delle confuse reminiscenze. Ella si chiedeva, non senza un leggero turbamento, dove mai e in quale epoca della vita le fosse accaduto di vedere quell'uomo. Il visconte, leggendo nel cuore della contessa, la guardava maliziosamente sorridendo, ciò che irritava davvantaggio la di lei curiosità di donna galante e capricciosa.

Nessuno degli astanti, il grosso albergatore compreso, si avvisò di constatare se il testamento, dichiarato olografo dal notaio, fosse redatto nei termini e modi dalla legge prescritti. La eredità di un povero saltimbanco non fa gola a nessuno; e poi...(questa osservazione prima di me l'avranno fatta i lettori), essendo il massimo capitale del legato costituito da un ammasso di carne vivente, da un individuo che pesava duecentoventi chili e altrettanti chili di commestibili poteva divorarsi in una settimana, l'affare, sotto le apparenze più grasse, era da ritenersi magrissimo. La contessa, dopo aver congedato il notaio promettendogli di recarsi quel giorno istesso al suo studio per adempiere alle ultime formalità dell'atto, pregò l'oste e i camerieri che eran stati presenti alla lettura, di volerla per un istante lasciare sola col prete. La sala in un attimo fu sgombra--il visconte e la contessa si trovarono di fronte.

--Voi comprenderete, diss'ella guardando fissamente lo strano sacerdote che le stava dinanzi col viso compunto e in atteggiamento sommesso--voi comprenderete, reverendo signore, quali ragioni mi obblighino a trattenervi meco un istante, mentre oggi avete tanto da fare in chiesa. In questa casa c'è un morto; nella mia qualità di ereditiera io debbo provvedere alle esequie, e voglio che queste sieno celebrate splendidamente. Circostanze dolorose, stranissime, quasi inverosimili, hanno condotta la contessa Anna Maria di Karolystria, che vi sta innanzi, nella situazione di dover fare assegnamento sul credito del suo nome e della sua alta posizione sociale per ottenere l'esonero dalle anticipazioni richieste dalla Chiesa e dal Municipio per le funebri pompe. Vi parlo schiettamente, signor abate.... Al momento io mi trovo affatto sprovveduta di denaro, nè saprei, in questa umile borgata, dove trovarne. Prima di indirizzare le mie suppliche al Municipio, io mi rivolgo a voi, a voi, ministro di Dio, e membro del capitolo... Fra dieci, fra otto giorni io sarò in grado di rimborsarvi--al momento, ve lo ripeto, sono povera come Eva appena uscita dalle coste di Adamo.

Un uomo di poca levatura, meno atto ad assaporare gli squisiti diletti di una bella situazione drammatica e di un equivoco piccante, al posto del visconte si sarebbe sfasciato in una grassa risata; ovvero, dandosi prontamente a conoscere, avrebbe precipitato lo scioglimento del duetto con una di quelle cabalette che mettono la febbre ai vagneristi.

Da quell'uomo di gusto che egli era, il falso abate rilevò il capo, e posando dinanzi alla contessa in atteggiamento da Levita crucciato:--Signora, le disse, se ciò che voi asserite è la verità, come potrete voi render conto al tribunale del supremo Giudice, alla banca dell'Eterno cassiere, delle trecento cedole da lire venti che ieri sera all'albergo della _Maga-rossa_ erano ancora nel vostro portafoglio, o meglio, nel portafoglio del visconte Daguilar, vostro salvatore ed amico?... --In nome di Dio! chi siete voi? gridò la contessa arretrando.

--Chi son io! rispose il visconte, passando dal solenne al patetico con una modulazione degna di Salvini--l'ingrata, non mi riconosce! Io sono uno, che per due ore ho respirato, ho palpitato, ho sofferto i più atroci brividi dentro le vostre gonnelle.... --Stelle del firmamento! --E voi, signora? non avete voi pure la scorsa notte galoppato sul mio Morello e sudato per un'ora nella mia giacca elegante di stoffa di Bristol?... --Voi siete... dunque!!!...

--Sì, contessa, proruppe l'altro gettandosele ai piedi e abbracciandole le ginocchia con trasporto--io sono il visconte Daguilar... io son quel desso che nella foresta di Bathelmatt, agli incerti crepuscoli della sera, ho potuto ammirare di sbieco i contorni di una Diana nuotante nelle foglie... --Tacete! alzatevi, uomo incomparabile!... Dio!... Ciò che mi accade è così strano... così fuori dell'ordine naturale... Se sapeste quanto desideravo di rivedervi!... Ma... ditemi... come avviene che io vi trovo qui? Perchè indossate quell'abbigliamento che sì male vi si attaglia? In verità, la sarebbe da ridere, se di ridere fosse capace una donna, agitata, qual io mi sono, da avvenimenti e da preoccupazioni sì gravi, da soperchiare ogni frivolo istinto.

Il visconte, ripresa la spigliatezza della indole sua cavalieresca e brillante, narrò succintamente alla contessa quanto gli era accaduto dacchè si erano separati. Immagini il lettore se quel racconto venne ascoltato con meraviglia e commozione!

--Visconte! esclamò la contessa stendendo al giovane la sua bella mano diafana e sottile--la vostra avventura è davvero singolarissima; pure, se io avessi a narrarvi le strane sorprese a me toccate dacché giunsi in questo albergo, voi rimarreste, pel restante dei giorni che il buon Dio ha segnati alla vostra esistenza, colle ciglia inarcate, Ma questo non è luogo dove si possano senza pericolo rivelare certi segreti... Qualche briccone potrebbe spiarci.... Ascoltate! le campane suonano l'_Angelus_... a momenti la chiesa sarà aperta ai fedeli... Là potremo rivederci e stabilire i nostri patti d'alleanza offensiva e difensiva... Andate! precedetemi!... fra dieci minuti prometto raggiungervi... --Ma, vi pare, contessa! con questo abito da prete!...

--È l'abito che conviene all'ambiente. --E le vostre superbe vesti rimaste nella casa del parroco?...

--A me non preme di riaverle, e il buon prete si terrà soddisfatto del cambio.

--Ma il vostro portafoglio... il vostro orologio... --Miserie che appartengono al passato. Fra il mio passato ed il mio --avvenire da questo momento si apre un abisso.

--Contessa di Karolystria, vado ad attendere i vostri ordini.

E il visconte, fatto un inchino sbilenco da prete digiuno, usciva dignitosamente dall'albergo per avviarsi alla chiesa, mentre la contessa in preda ad una esaltazione indescrivibile, soffermandosi al banco dell'oste ordinava una colazione di ventiquattro _bistecche_ guarnite di dieci chili di patate fritte. Quella colazione era destinata a Boo-boom-bom, l'uomo più grasso del mondo, sul quale, in seguito al legato dello zingaro Nabakak, la contessa cominciava ad esercitare i suoi diritti di usufrutto.

La pioggia era cessata, le nubi si diradavano, e all'orologio del
campanile battevano i tre tocchi.

--Non mi farebbe male l'adagiarmi per qualche ora su quel divano,
pensava il visconte, dopo aver sorseggiato un mezzo bicchiere di
malvasia. Alle cinque i miei reverendi ospiti saranno in piedi, ed
io... Ma... ho ben inteso? Qualcuno ha bussato alla porta di strada...
Due colpi ancora... Chi sarà il malcreato che ad ora sì avanzata della
notto osa martellare con tanta ferocia la porta della casa
parrocchiale?...

Balzò dalla seggiola, prese il lume, attraversò lesto lesto il
porticato, fu alla porta, l'aprì, e il visconte si trovò di faccia un
giovinotto, il quale teneva tra le mani un bambinello mal coperto di
cenci, che strillava come una capretta...

--Chi siete? che volete? domandò il visconte, fissando nello
sconosciuto il suo sguardo penetrante e sereno.

--Mi scusi tanto, rispose il giovine, se ho dovuto disturbarlo a
quest'ora... Ma si tratta di un caso molto grave... Un disgraziato
forastiero che questa notte ha preso alloggio all'albergo del
_Pappagallo_, versa in grave pericolo di vita e reclama gli estremi
conforti della religione. È necessario che vi affrettiate.... Una
bella e pietosa dama, che ha prestato al poveretto le prime cure, mi
ha raccomandato la maggior sollecitudine. Voi vedete dunque,
monsignore reverendissimo...

--Io vedo, rispose il visconte al colmo dello stupore, un neonato che
strilla; e tu mi parli di un moribondo!... Che istorie son queste?...

--In verità sono istorie da perderci la testa.... Mentre io bussava
alla porta, ho sentito guaire sul lastrico questo marmocchio mal
fasciato. Sulle prime ho creduto di aver messo il piede sulla coda
d'un gatto... Ma poi... toccando... palpeggiando... ho dovuto
convincermi...

--Sta bene! interruppe il visconte; tu m'hai l'aria di un buon
figliuolo, ed io do fede alle tue asserzioni.... Questa povera
creaturina abbandonata dev'essere il frutto di qualche amore
illegittimo; fino quando non saremo riusciti ad emancipare la donna
dalla doppia tirannia che la opprime, pur troppo questi casi dello
snaturato abbandono della prole non cesseranno di riprodursi
spaventevolmente ad obbrobrio della società umana.

--Ma.... signor mio reverendissimo... mi permetto di ricordarvi che il
povero moribondo dell'albergo del _Pappagallo_... non aspetta che il
passaporto per andarsene all'altro mondo.

--Là si muore... e qui si nasce! esclamò il visconte, dimenticando per
un istante la sua compostezza da sacerdote per assumere
l'atteggiamento di Amleto.--Là si muore... e qui si nasce! Prima di
assistere al moribondo, è giusto che si provveda al neonato!

E dopo breve silenzio, il visconte si prese il marmocchio tra le
braccia, e raccomandato al giovinotto di attenderlo un istante,
rientrò frettoloso nella casa parrocchiale.

Puoi tu immaginare, o lettore, da quale farraginoso tramestío di
pensieri, di speranze, di dubbi, di desideri e di paure andasse
sconvolto, durante quel breve tragitto dalla porta di strada al
salottino della parrocchia, il cervello del nostro brillante
avventuriere?

Non era egli partito da Borgoflores per correre sulle traccie della
vezzosa contessa di Karolystria, che a mezzo del doganiere gli aveva
indicato il suo itinerario, e dimostrato il più vivo desiderio di
rivederlo? Non dovea la contessa di Karolystria prendere alloggio a
quel medesimo albergo del _Pappagallo_, che a lui si apriva quasi
prodigiosamente alle tre ore dopo mezzanotte pei reclami di un
moribondo? E chi era quel moribondo? E la dama che gli prestava
amorosamente le ultime cure, non dovea, secondo ogni probabilità,
essere la contessa di Karolystria? E quali ragioni poteva avere la
contessa per vegliare al capezzale di un morente, dopo le tante
peripezie e i tanti travagli della giornata trascorsa?

Tali le ansie, i dubbî, i desiderî. A sopracarico di questi, nella
mente vulcanizzata del visconte si introducevano scrupoli e paure
agghiaccianti.--Non era imprudenza e sacrilegio uscire nella strada in
abito da prete, ingannando la buona fede di un uomo presso a morire, e
ponendosi nella situazione di dover volgere in parodia gli
augustissimi riti del sacramento? E quale indignazione nei due buoni
reverendi che gli erano stati tanto larghi di cortesie, se
all'indomani venisse a svelarsi l'indegno abuso ch'egli aveva fatto
delle loro sottane venerande? E poi..... quel bambinello sudicio e
ghiacciaio... uscito dalla terra come un rannocchio... E poi... e
poi..,

Che volete, lettori garbatissimi? Gli uomini sono fatti così... Se in
questo complicatissimo guazzabuglio non ci fosse entrata una donna,
una bella e seducentissima donna, qual era (ve lo giuro sull'onor mio)
la contessa Anna Maria di Karolystria, il nostro eroe avrebbe dato la
sveglia ai due sacerdoti per informarli dell'accaduto, e avrebbe
seguito una linea di condotta più conforme alla squisitezza del suo
temperamento ed alle sue abitudini di perfetto gentiluomo.

In quella vece...

Osservate! Il bambinello testè raccolto sulla via ora giace adagiato
sul divano del salottino. La Società per la protezione dei. fanciulli
non ci troverebbe a ridire. Il visconte, prima di andarsene, non ha
obliato di avvolgere il neonato in un nitido tovagliolo, al quale ha
sovrapposto un soppedaneo per riparare dal freddo le gracili membra.
Il lume è spento--le imposte sono ben chiuse--il bambino ha cessato di
strillare--egli ha poppato un bicchiere di malvasia, e dorme
saporitamente colle gotuzze iniettate di porpora.

Non mostriamoci dunque troppo severi nel giudicare la condotta del
visconte. È ben vero che, per far buona figura nella città, egli si è
messo in capo un bel cappello a triangoli: ma è forse detto ch'egli
intenda di appropriarselo? Appena sbrigate le sue faccende al di
fuori, non ha egli in animo di venire a riprendere gli abiti della
contessa e di riconsegnare ai due buoni reverendi ciò che ad essi
appartiene?

Via! le intenzioni sono ottime. Per conto mio, do piena assoluzione al
visconte.

Ed ora, chi mi sa dire di quanti battiti vada pulsando il nobile cuore
del nostro eroe dacché egli ha potuto scorgere, al chiarore della
pallida luna, la desiata insegna dello albergo del _Pappagallo_?

Si arrestò sulla porta, perplesso, smarrito.

Il garzone che lo accompagnava, dovette spingerlo innanzi.

Entrarono--salirono al secondo piano--si diressero verso la stanza
segnata col numero 74.

Il garzone bussò leggermente, la porta si aperse, e una bellissima
dama.... (via! non facciamo misteri!) la contessa Anna Maria di
Karolystria si presentò sulla soglia.

Era pallida, aveva i capelli in disordine, tremava... Pure, un occhio
perspicace (il tuo, per esempio, o lettore) osservando con attenzione
quelle sembianze, non vi avrebbe scorta veruna impronta di dolore.

--Troppo tardi, reverendo! esclamò la contessa avanzandosi di un passo
verso il falso prete.--Il notaio fu più sollecito del ministro di
Dio... Così, se lo zingaro Nabakak non ha potuto, prima di esalare
l'ultimo sospiro, accomodare le sue partite coll'Essere supremo, egli
ebbe però il conforto di veder raccolta e legalizzata la sua ultima
volontà relativamente agli affari terreni. La vostra presenza, o
sacerdote, sebbene tardiva, non riesce però inopportuna. Sarà bene che
voi assistiate alla lettura del testamento che ora verrà fatta nella
sala terrena dello albergo, acciò questo atto di volontà suprema,
esercitato dal povero defunto in circostanze straordinarie e
gravissime, acquisti maggiore autorità, e possa, all'occasione, venire
appoggiato da testimonianze sotto ogni aspetto rispettabili. Signor
abate, compiacetevi dunque di seguirmi!

Proferite queste parole, la contessa, dalla porta socchiusa, accennò
al notaio di seguirla, e tutti discesero nella sala terrena, dove il
padrone dell'albergo li attendeva.

--Signori: disse il notaio colla falsa intonazione di una mestizia
rettorica; il forastiero alloggiato al numero 74 ha cessato di vivere
poco dianzi nelle braccia dell'illustrissima signora contessa Anna
Maria di Karolystria qui presente, dopo aver segnato di sua mano un
codicillo contenente le sue ultime disposizioni. Vi prego, signore e
signori, di prendere atto di questo documento. «Io, sottoscritto,
nomino ed istituisco erede di ogni mio avere la signora contessa Anna
Maria di Karolystria, la quale pietosamente mi ha assistito negli
ultimi istanti della vita, e intendo che immediatamente dopo la mia
morte, la suddetta vada al possesso dell'intero mio patrimonio, il
quale, essendo in massima parte costituito di enti animati, verrebbe a
subire un irremediabile deperimento qualora dovesse anche per poche
ore rimanere negletto. Intendo però e voglio che del fenomenale
individuo nominato Boo-bom-bomm, da me per molti anni condotto in giro
ed esposto sulle piazze di Europa, dove per la sua straordinaria
grassezza fu oggetto della universale ammirazione, la signora contessa
di Karolystria non abbia a godere che l'usufrutto; e questo fino al
giorno in cui alla suddetta venga dato, come io verbalmente le ho
indetto, di riconsegnare a chi di diritto quei duecentoventitrè
chilogrammi di carne viva, da me illecitamente posseduti e fatti
oggetto di lucro. Dopo questo, raccomando la mia anima a Dio e impongo
alla mia erede di far celebrare cento messe ad espiazione de' miei
peccati.

» Segnato: NABAKAK.»

Durante la lettura di quel documento, la contessa non avea mai
distolti gli occhi dal visconte. I tratti di quel volto
aristocraticamente profilato, che tanto distonavano colle rozze e mal
foggiate sottane del prete, richiamavano al di lei pensiero delle
confuse reminiscenze. Ella si chiedeva, non senza un leggero
turbamento, dove mai e in quale epoca della vita le fosse accaduto di
vedere quell'uomo.

Il visconte, leggendo nel cuore della contessa, la guardava
maliziosamente sorridendo, ciò che irritava davvantaggio la di lei
curiosità di donna galante e capricciosa.

Nessuno degli astanti, il grosso albergatore compreso, si avvisò di
constatare se il testamento, dichiarato olografo dal notaio, fosse
redatto nei termini e modi dalla legge prescritti. La eredità di un
povero saltimbanco non fa gola a nessuno; e poi...(questa osservazione
prima di me l'avranno fatta i lettori), essendo il massimo capitale
del legato costituito da un ammasso di carne vivente, da un individuo
che pesava duecentoventi chili e altrettanti chili di commestibili
poteva divorarsi in una settimana, l'affare, sotto le apparenze più
grasse, era da ritenersi magrissimo.

La contessa, dopo aver congedato il notaio promettendogli di recarsi
quel giorno istesso al suo studio per adempiere alle ultime formalità
dell'atto, pregò l'oste e i camerieri che eran stati presenti alla
lettura, di volerla per un istante lasciare sola col prete. La sala in
un attimo fu sgombra--il visconte e la contessa si trovarono di
fronte.

--Voi comprenderete, diss'ella guardando fissamente lo strano
sacerdote che le stava dinanzi col viso compunto e in atteggiamento
sommesso--voi comprenderete, reverendo signore, quali ragioni mi
obblighino a trattenervi meco un istante, mentre oggi avete tanto da
fare in chiesa. In questa casa c'è un morto; nella mia qualità di
ereditiera io debbo provvedere alle esequie, e voglio che queste sieno
celebrate splendidamente. Circostanze dolorose, stranissime, quasi
inverosimili, hanno condotta la contessa Anna Maria di Karolystria,
che vi sta innanzi, nella situazione di dover fare assegnamento sul
credito del suo nome e della sua alta posizione sociale per ottenere
l'esonero dalle anticipazioni richieste dalla Chiesa e dal Municipio
per le funebri pompe. Vi parlo schiettamente, signor abate.... Al
momento io mi trovo affatto sprovveduta di denaro, nè saprei, in
questa umile borgata, dove trovarne. Prima di indirizzare le mie
suppliche al Municipio, io mi rivolgo a voi, a voi, ministro di Dio, e
membro del capitolo... Fra dieci, fra otto giorni io sarò in grado di
rimborsarvi--al momento, ve lo ripeto, sono povera come Eva appena
uscita dalle coste di Adamo.

Un uomo di poca levatura, meno atto ad assaporare gli squisiti diletti
di una bella situazione drammatica e di un equivoco piccante, al posto
del visconte si sarebbe sfasciato in una grassa risata; ovvero,
dandosi prontamente a conoscere, avrebbe precipitato lo scioglimento
del duetto con una di quelle cabalette che mettono la febbre ai
vagneristi.

Da quell'uomo di gusto che egli era, il falso abate rilevò il capo, e
posando dinanzi alla contessa in atteggiamento da Levita
crucciato:--Signora, le disse, se ciò che voi asserite è la verità,
come potrete voi render conto al tribunale del supremo Giudice, alla
banca dell'Eterno cassiere, delle trecento cedole da lire venti che
ieri sera all'albergo della _Maga-rossa_ erano ancora nel vostro
portafoglio, o meglio, nel portafoglio del visconte Daguilar, vostro
salvatore ed amico?...

--In nome di Dio! chi siete voi? gridò la contessa arretrando.

--Chi son io! rispose il visconte, passando dal solenne al patetico
con una modulazione degna di Salvini--l'ingrata, non mi riconosce! Io
sono uno, che per due ore ho respirato, ho palpitato, ho sofferto i
più atroci brividi dentro le vostre gonnelle....

--Stelle del firmamento!

--E voi, signora? non avete voi pure la scorsa notte galoppato sul mio
Morello e sudato per un'ora nella mia giacca elegante di stoffa di
Bristol?...

--Voi siete... dunque!!!...

--Sì, contessa, proruppe l'altro gettandosele ai piedi e
abbracciandole le ginocchia con trasporto--io sono il visconte
Daguilar... io son quel desso che nella foresta di Bathelmatt, agli
incerti crepuscoli della sera, ho potuto ammirare di sbieco i contorni
di una Diana nuotante nelle foglie...

--Tacete! alzatevi, uomo incomparabile!... Dio!... Ciò che mi accade è
così strano... così fuori dell'ordine naturale... Se sapeste quanto
desideravo di rivedervi!... Ma... ditemi... come avviene che io vi
trovo qui? Perchè indossate quell'abbigliamento che sì male vi si
attaglia? In verità, la sarebbe da ridere, se di ridere fosse capace
una donna, agitata, qual io mi sono, da avvenimenti e da
preoccupazioni sì gravi, da soperchiare ogni frivolo istinto.

Il visconte, ripresa la spigliatezza della indole sua cavalieresca e
brillante, narrò succintamente alla contessa quanto gli era accaduto
dacchè si erano separati. Immagini il lettore se quel racconto venne
ascoltato con meraviglia e commozione!

--Visconte! esclamò la contessa stendendo al giovane la sua bella mano
diafana e sottile--la vostra avventura è davvero singolarissima; pure,
se io avessi a narrarvi le strane sorprese a me toccate dacché giunsi
in questo albergo, voi rimarreste, pel restante dei giorni che il buon
Dio ha segnati alla vostra esistenza, colle ciglia inarcate, Ma questo
non è luogo dove si possano senza pericolo rivelare certi segreti...
Qualche briccone potrebbe spiarci.... Ascoltate! le campane suonano
l'_Angelus_... a momenti la chiesa sarà aperta ai fedeli... Là potremo
rivederci e stabilire i nostri patti d'alleanza offensiva e
difensiva... Andate! precedetemi!... fra dieci minuti prometto
raggiungervi...

--Ma, vi pare, contessa! con questo abito da prete!...

--È l'abito che conviene all'ambiente.

--E le vostre superbe vesti rimaste nella casa del parroco?...

--A me non preme di riaverle, e il buon prete si terrà soddisfatto del
cambio.

--Ma il vostro portafoglio... il vostro orologio...

--Miserie che appartengono al passato. Fra il mio passato ed il mio
--avvenire da questo momento si apre un abisso.

--Contessa di Karolystria, vado ad attendere i vostri ordini.

E il visconte, fatto un inchino sbilenco da prete digiuno, usciva
dignitosamente dall'albergo per avviarsi alla chiesa, mentre la
contessa in preda ad una esaltazione indescrivibile, soffermandosi al
banco dell'oste ordinava una colazione di ventiquattro _bistecche_
guarnite di dieci chili di patate fritte.

Quella colazione era destinata a Boo-boom-bom, l'uomo più grasso del
mondo, sul quale, in seguito al legato dello zingaro Nabakak, la
contessa cominciava ad esercitare i suoi diritti di usufrutto.