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La Contessa di Karolystria by Antonio Ghislanzoni, CAPITOLO II

«_Lo giorno se ne andava_» e il visconte sepolto nelle foglie, lo zigaro in bocca, la rivoltella in pugno, attendeva colla fede del giusto, colla sicurezza del forte, l'ora della liberazione. Le tenebre non erano ancora tanto fitte, che l'occhio non potesse discernere i contorni degli oggetti. Un sordo calpestìo distrasse il visconte dalle erotiche fantasmagorie che lo cullavano in quel letto ancora pieno di tepori e di profumi femminili.

--Così presto! pensò egli, rizzandosi sui gomiti. No! è inverossimile... Non è scorsa mezz'ora dacchè la contessa è partita; impossibile ch'ella abbia già rimandato il mio cavallo e i miei abiti. E poi, soggiunse il visconte dopo aver ascoltato in silenzio, questo cavallo non batte la strada maestra... lo scalpitìo è ammorzato dalle eriche e dalle foglie... A buon conto, prepariamoci agli eventi!

Il visconte balzò in piedi, e appoggiandosi dietro un albero, prese di mira, per quanto gliel consentissero le tenebre, il quadrupede che si avvanzava alla sua volta.

Era una cavalla di purissima razza maltese, una cavalla che i nostri lettori hanno già visto comparire in questo racconto; era, affrettiamoci a dirlo, la elegante e baldanzosa puledra che poco dianzi aveva costeggiato la selva, portando in groppa la contessa Karolystria.

Il visconte, vedendo la bestia soffermarsi, emise dal petto un _chi va là?_ che avrebbe fatto indietreggiare un esercito di dragoni.

Nessuna voce. La cavalla scalpitava e dondolava la testa fiutando il terreno.

L'intrepido visconte si slanciò, afferrò la bestia per le nari, e facendo scattare il grilletto della pistola, proferì una minacciosa intimazione. --Cos'è dunque codesto carico di stoffe addossato alla sella? esclamò il visconte pienamente rassicurato di non avere a fare con malandrini.

Nulla più, nulla meno che un cumulo di stoffe; e i miei arguti lettori già indovinano che quelle stoffe erano le spoglie della contessa di Karolystria, il prezioso bottino di cui poco dianzi si erano impadroniti i briganti.

Ed eccovi in poche parole la spiegazione dell'enigma. Mentre si affrettavano verso il loro covo per dividere i gioielli e le vesti involate, i tre aggressori della contessa erano stati sorpresi da una pattuglia di carabinieri usciti in quel giorno stesso da Borgoflores a perlustrare la foresta. Si impegnò una lotta tremenda. Fuoco di qua, fuoco di là, fischi di palle, spezzature di crani, stramazzoni, capitomboli, urli di feriti, bestemmie di moribondi. Frattanto, la puledra della contessa, abbandonata ai suoi liberi istinti, avea ripreso il trotto per tornare sul luogo dove i malandrini avevano consumata l'agressione, e appunto era venuta a far sosta a pochi passi dal visconte. Il visconte, rendiamo giustizia al di lui accorgimento, comprese in un attimo ciò che in tal caso era ovvio a comprendersi. Si accostò alla puledra, e accarezzandole il collo, le tolse di groppa la veste elegante di amazzone, il bizzarro cappello ornato di piume azzurre, tutti gli ornamenti, infine, e i gingilli preziosi che costituivano le spoglie della mal capitata signora.

In quel luogo, in quell'ora, sotto lo stimolo della brezza che gli crespava l'epidermide nuda, quegli indumenti muliebri erano pel visconte un soccorso della provvidenza. Senza indugiare, egli se li pose indosso,--gli andavano a meraviglia,--e dopo essersi abbigliato completamente, spiccò un salto, fu in sella, e via di galoppo alla volta di Borgoflores.

Quando il visconte giunse alla porte della città, le due sentinelle che stavano di guardia incrociarono le alabarde, e un grosso commissario di polizia, avvanzandosi, e trattenendo la cavalla per la briglia, intimò pulitamente al nostro gentiluomo in gonnella di mostrargli il passaporto.

Il visconte, leggermente turbato, riflette un istante e poi disse: --È strano che in un paese tanto vantato pei suoi civili costumi, sussista ancora la barbara usanza di chiedere il passaporto ai forestieri che si presentano alle porte; più strano ancora che questa formalità vessatoria ed odiosa non venga almeno risparmiata alle persone del mio sesso. --La società umana, rispose il commissario sorridendo, non rappresenta che un intreccio di stranezze.

Il visconte cacciò una mano nel taschino della gonnella, e trattone il portafoglio, presentò al commissario una carta di visita.

--Se questa può bastare... --Vediamo! Poi, con un risolino di soddisfazione, il commissario soggiunse: --Non serve che la signora contessa ci fornisca altra prova della sua identità... Questa carta ci basta... Si compiaccia dunque di scendere da cavallo e di seguirci. --Scendere da cavallo! seguirvi! Che vuol dir ciò? domandò il visconte sorpreso, --Vuol dire, rispose il commissario pacatamente, che noi abbiamo ordine di mettere la illustrissima signora contessa di Karolystria in istato di arresto... E poiché voi, gentilissima signora, siete appunto la contessa Anna Maria di Karolystria, e i tratti del vostro viso, nonché la foggia e il colore del vostro abbigliamento rispondono perfettamente ai connotati che ci vennero trasmessi, così speriamo che di buon grado vorrete ottemperare alle nostre ingiunzioni, piuttosto che costringerci ad impiegare quei mezzi coercitivi... --Parlate voi da senno! esclamò il visconte irritato; ch'io sappia almeno da qual parte è venuto l'ordine di arrestarmi. --L'ordine è partito, rispose il commissario sorridendo, da una persona, che essendo legata a voi con nodi indissolubili, ci tiene molto al possedimento delle vostre grazie. Venite, signora! Vostro marito vi reclama, vostro marito non può vivere senza di voi. Ciò deve lusingare grandemente il vostro amor proprio di donna e compensarvi della lievissima pena che noi siamo obbligati ad infliggervi.

Il visconte riflette un istante: --Questo equivoco, pensò egli, può tornar giovevole alla contessa; le darà il tempo di allontanarsi da Borgoflores e sfuggire alle vessazioni di un marito che la perseguita. Egli scese da cavallo.

--Commissario, sono con voi! esclamò con piglio dignitoso; voglio sperare che l'ordine di cattura non si stenda a questa mia buona puledra, che ha camminato tutto il giorno, ed ha bisogno urgentissimo di fieno e di riposo. Vorreste voi, signor commissario gentilissimo, affidarla a qualcuno che si incaricasse di condurla all'albergo della _Maga rossa_? Il commissario assentì.

Mentre un gaglioffo di doganiere afferrava il morso della puledra, il visconte gli si accostò con un pretesto, e facendogli scivolare nella mano una carta di visita, gli disse sottovoce rapidamente: --Eccoti l'indirizzo di una dama... Silenzio!... discrezione! fra un mese sarai ispettore... fra un anno prefetto.

Il doganiere partì sbalordito, e il visconte, condotto dal commissario alla caserma delle guardie di pubblica sicurezza, venne rinchiuso in una cameraccia disadorna, a mala pena rischiarata dal fumo di un lucignolo moribondo.

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«_Lo giorno se ne andava_» e il visconte sepolto nelle foglie, lo
zigaro in bocca, la rivoltella in pugno, attendeva colla fede del
giusto, colla sicurezza del forte, l'ora della liberazione.

Le tenebre non erano ancora tanto fitte, che l'occhio non potesse
discernere i contorni degli oggetti.

Un sordo calpestìo distrasse il visconte dalle erotiche fantasmagorie
che lo cullavano in quel letto ancora pieno di tepori e di profumi
femminili.

--Così presto! pensò egli, rizzandosi sui gomiti. No! è
inverossimile... Non è scorsa mezz'ora dacchè la contessa è partita;
impossibile ch'ella abbia già rimandato il mio cavallo e i miei abiti.
E poi, soggiunse il visconte dopo aver ascoltato in silenzio, questo
cavallo non batte la strada maestra... lo scalpitìo è ammorzato dalle
eriche e dalle foglie... A buon conto, prepariamoci agli eventi!

Il visconte balzò in piedi, e appoggiandosi dietro un albero, prese di
mira, per quanto gliel consentissero le tenebre, il quadrupede che si
avvanzava alla sua volta.

Era una cavalla di purissima razza maltese, una cavalla che i nostri
lettori hanno già visto comparire in questo racconto; era,
affrettiamoci a dirlo, la elegante e baldanzosa puledra che poco
dianzi aveva costeggiato la selva, portando in groppa la contessa
Karolystria.

Il visconte, vedendo la bestia soffermarsi, emise dal petto un _chi va
là?_ che avrebbe fatto indietreggiare un esercito di dragoni.

Nessuna voce. La cavalla scalpitava e dondolava la testa fiutando il
terreno.

L'intrepido visconte si slanciò, afferrò la bestia per le nari, e
facendo scattare il grilletto della pistola, proferì una minacciosa
intimazione.

--Cos'è dunque codesto carico di stoffe addossato alla sella? esclamò
il visconte pienamente rassicurato di non avere a fare con malandrini.

Nulla più, nulla meno che un cumulo di stoffe; e i miei arguti lettori
già indovinano che quelle stoffe erano le spoglie della contessa di
Karolystria, il prezioso bottino di cui poco dianzi si erano
impadroniti i briganti.

Ed eccovi in poche parole la spiegazione dell'enigma. Mentre si
affrettavano verso il loro covo per dividere i gioielli e le vesti
involate, i tre aggressori della contessa erano stati sorpresi da una
pattuglia di carabinieri usciti in quel giorno stesso da Borgoflores a
perlustrare la foresta. Si impegnò una lotta tremenda. Fuoco di qua,
fuoco di là, fischi di palle, spezzature di crani, stramazzoni,
capitomboli, urli di feriti, bestemmie di moribondi. Frattanto, la
puledra della contessa, abbandonata ai suoi liberi istinti, avea
ripreso il trotto per tornare sul luogo dove i malandrini avevano
consumata l'agressione, e appunto era venuta a far sosta a pochi passi
dal visconte.

Il visconte, rendiamo giustizia al di lui accorgimento, comprese in un
attimo ciò che in tal caso era ovvio a comprendersi. Si accostò alla
puledra, e accarezzandole il collo, le tolse di groppa la veste
elegante di amazzone, il bizzarro cappello ornato di piume azzurre,
tutti gli ornamenti, infine, e i gingilli preziosi che costituivano le
spoglie della mal capitata signora.

In quel luogo, in quell'ora, sotto lo stimolo della brezza che gli
crespava l'epidermide nuda, quegli indumenti muliebri erano pel
visconte un soccorso della provvidenza. Senza indugiare, egli se li
pose indosso,--gli andavano a meraviglia,--e dopo essersi abbigliato
completamente, spiccò un salto, fu in sella, e via di galoppo alla
volta di Borgoflores.

Quando il visconte giunse alla porte della città, le due sentinelle
che stavano di guardia incrociarono le alabarde, e un grosso
commissario di polizia, avvanzandosi, e trattenendo la cavalla per la
briglia, intimò pulitamente al nostro gentiluomo in gonnella di
mostrargli il passaporto.

Il visconte, leggermente turbato, riflette un istante e poi disse:

--È strano che in un paese tanto vantato pei suoi civili costumi,
sussista ancora la barbara usanza di chiedere il passaporto ai
forestieri che si presentano alle porte; più strano ancora che questa
formalità vessatoria ed odiosa non venga almeno risparmiata alle
persone del mio sesso.

--La società umana, rispose il commissario sorridendo, non rappresenta
che un intreccio di stranezze.

Il visconte cacciò una mano nel taschino della gonnella, e trattone il
portafoglio, presentò al commissario una carta di visita.

--Se questa può bastare...

--Vediamo!

Poi, con un risolino di soddisfazione, il commissario soggiunse:

--Non serve che la signora contessa ci fornisca altra prova della sua
identità... Questa carta ci basta... Si compiaccia dunque di scendere
da cavallo e di seguirci.

--Scendere da cavallo! seguirvi! Che vuol dir ciò? domandò il visconte
sorpreso,

--Vuol dire, rispose il commissario pacatamente, che noi abbiamo
ordine di mettere la illustrissima signora contessa di Karolystria in
istato di arresto... E poiché voi, gentilissima signora, siete appunto
la contessa Anna Maria di Karolystria, e i tratti del vostro viso,
nonché la foggia e il colore del vostro abbigliamento rispondono
perfettamente ai connotati che ci vennero trasmessi, così speriamo che
di buon grado vorrete ottemperare alle nostre ingiunzioni, piuttosto
che costringerci ad impiegare quei mezzi coercitivi...

--Parlate voi da senno! esclamò il visconte irritato; ch'io sappia
almeno da qual parte è venuto l'ordine di arrestarmi.

--L'ordine è partito, rispose il commissario sorridendo, da una
persona, che essendo legata a voi con nodi indissolubili, ci tiene
molto al possedimento delle vostre grazie. Venite, signora! Vostro
marito vi reclama, vostro marito non può vivere senza di voi. Ciò deve
lusingare grandemente il vostro amor proprio di donna e compensarvi
della lievissima pena che noi siamo obbligati ad infliggervi.

Il visconte riflette un istante:

--Questo equivoco, pensò egli, può tornar giovevole alla contessa; le
darà il tempo di allontanarsi da Borgoflores e sfuggire alle
vessazioni di un marito che la perseguita.

Egli scese da cavallo.

--Commissario, sono con voi! esclamò con piglio dignitoso; voglio
sperare che l'ordine di cattura non si stenda a questa mia buona
puledra, che ha camminato tutto il giorno, ed ha bisogno urgentissimo
di fieno e di riposo. Vorreste voi, signor commissario gentilissimo,
affidarla a qualcuno che si incaricasse di condurla all'albergo della
_Maga rossa_?

Il commissario assentì.

Mentre un gaglioffo di doganiere afferrava il morso della puledra, il
visconte gli si accostò con un pretesto, e facendogli scivolare nella
mano una carta di visita, gli disse sottovoce rapidamente:

--Eccoti l'indirizzo di una dama... Silenzio!... discrezione! fra un
mese sarai ispettore... fra un anno prefetto.

Il doganiere partì sbalordito, e il visconte, condotto dal commissario
alla caserma delle guardie di pubblica sicurezza, venne rinchiuso in
una cameraccia disadorna, a mala pena rischiarata dal fumo di un
lucignolo moribondo.