(Al signor Duca de La Rochefoucauld) Un uomo molto di se stesso amante e che, senza rivali, d'un bell'uomo si dava l'aria, in ciò fisso e beato, se la prendea di rabbia con gli specchi ch'ei dicea tutti falsi e accusatori. Per trarlo d'illusion fece la sorte benevola che, ovunque egli girasse coll'occhio, non vedesse altro che specchi. Specchi dentro le case e in le botteghe de' merciai, specchi in petto ai bellimbusti e fin sulle cinture delle belle, ovunque insomma a risanarlo il caso gli facea balenar davanti questo tacito consigliere delle belle. Al mio Narciso allor altro non resta che andare, per fuggir tanto tormento, in paesi selvaggi e sconosciuti, ove di specchi non vi fosse il segno. Ma specchio ancora, o illusion, discende ivi un bel fiume, che da pura fonte sgorga e l'attira di sì strano incanto ch'ei non può dal cristal torcer lo sguardo. Della favola è questa la morale, che non d'un solo io traggo a beneficio, ma di quanti son folli in questo mondo. L'anima umana è l'uomo vanitoso troppo amante di sé: gli specchi sono gli altrui difetti in cui come in ispeglio ogni nostro difetto si dipinge. E il libro delle Massime, o mio Duca, è quel fiume che l'anima rapisce.
Favole di Jean de La Fontaine, XI - L'Uomo e la sua immagine
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