Il Re scaccia le donne e biasma il sesso feminile.
Ah, sesso ingrato e discortese, quando feci io tal legge? Levatevi or ora dalla presenza mia e andate alla malora, seme ribaldo e importuno, che adesso io conosco chiaramente che donna non vuol dinotare altro che danno e femina semina zizanie e discordie, che dalla casa ov'ella si parte si tira dietro ciò che può col rastello, e dove ella entra vi porta la fiamma e il fuoco; ella è una sentina d'inganni e di tradimenti, un baratro infernale nel quale si sentono di continuo i pianti e i lamenti de' miseri mariti; elle sono la ruina de' padri, tormento delle madri, flagello de' fratelli, vergogna de' parenti, consumamento delle case, e in somma elle sono pena e afflizzione di tutto il genere umano. Andate via tutte nella mala perdizione e non mi tornate mai più innanzi, spiriti infernali e bestie malvagie che voi siete. Oh che fracasso, oh che rovina hanno fatto queste pazze scatenate per niente! Ma s'io posso sapere chi sia stato l'autore di questa novità, io son risoluto di riconoscerlo secondo ch'egli merita. Ecco che pur sono andate via queste insolenti, che poco vi è mancato ch'esse non mi abbino cavati gli occhi con le dita. Partite le donne e quietatosi alquanto il Re, Bertoldo ch'era stato in disparte ad ascoltar il tutto, essendogli riuscito il suo disegno, si fece, ridendo, innanzi al Re e gli disse: Bertoldo. Che dici, o Re? Non ti diss'io che prima che tu andasti a letto il giorno d'oggi tu leggeresti il libro alla roversa di questo che ieri dicesti in lode delle donne? Or vedi, ch'elle ti hanno chiarito. Re. O che cervelli diabolici andar a trovare inventiva ch'io abbia ordinato che ogni uomo debba prendere sette mogli, cosa che mai non m'imaginai, né pure me la sognai. O che mal seme, o che crudel razza!
Bertoldo. Tu sai i patti che sono fra te e me.
Re. Tu hai molto ben ragione; però vien, siedi meco su questo seggio regale, poiché tu l'hai meritato. Bertoldo. Non ponno capire quattro natiche in un istesso seggio.
Re. Io ne farò fare un altro appresso di questo e vi sederai su, e darai audienza come me.
Bertoldo. Né amore, né signoria non vuol compagnia; però governa pur tu, che sei Signore.
Re. Io dubito che tu sia stato l'auttore di questo fracasso. Bertoldo. Tu l'hai indovinato alla prima e non mi puoi castigare altrimente perch'io mi son ingegnato per adempire quanto avea promesso di fare. Re. Orsù, poiché questa è stata tua invenzione, io ti perdono; ma come hai tu ordita questa diavoleria?
Bertoldo. Io sono andato a trovar colei alla quale tu concedesti lo specchio e gli ho dato ad intendere che tu volevi di nuovo farlo spezzare e darne la metà alla sua avversaria, e di più che tu avevi ordinato che ogn'uomo pigliasse sette mogli e perciò costei aveva radunato così gran numero di femine insieme e hanno fatto lo schiamazzo che tu hai sentito. Il Re si pente di aver detto male delle donne, onde torna di nuovo a lodarle.
Re. Tu sei stato un grand'inventore, ma però di malizia, e tu hai quasi causato un gran disordine oggi, e hanno avuto mille raggioni, non che una, a muoversi ad ira contro di me; e non potevo credere che il sesso donnesco fusse così privo di cervello che si movesse a far tanto rumore senza grandissima cagione; e qual maggior occasione di questa gli potevi tu dare a farle irritare verso di me? E a me parimente hai dato occasione di dire contro di loro quello ch'io non vorrei aver detto per tutto l'oro del mondo; e ne son dolente e pentito, e torno a dire che la donna è un fonte di virtù, un fiume di bontà, un giardino di costumi, un monte di benignità, un prato di gentilezza, un campo di cortesia, un specchio di prudenza, una torre di magnanimità, un mare di pudicizia, e un fermo scoglio di costanza e di fermezza. Però chi vuol essere mio amico non dica male delle donne, perch'elle non offendono alcuno, non portano armi, non cercano risse, ma sono tutte mansuete, placide, benigne e quiete, amabili e ornate di tutte le creanze, si ché non incitar più l'ira mia verso di loro perché io ti farò dare condegno castigo. Bertoldo. Io non toccherò più le corde di questa cittera, ma attenderemo ad altro e saremo amici.
Re. Sì, perché dice il proverbio: sta' discosto all'acqua corrente e da can che mostra il dente. Bertoldo. Ancora, l'acqua cheta e l'uomo che tace, non mi piace. La Regina manda a domandar Bertoldo al Re, perché lo vuol vedere.
Mentre ragionavano così famigliarmente il Re e Bertoldo, giunse un messo da parte della Regina, il qual disse al Re come la Regina desiderava di vedere Bertoldo, pregando sua Maestà a mandarglielo; e perché ella aveva inteso che costui si pigliava spasso di burlar le donne, aveva fatto pensiero di farlo bastonare ben bene; onde il Re, udito la dimanda della Regina, volto a Bertoldo, gli disse: Re. La Regina ha mandato a domandarti. Ecco il messo, il qual è venuto a posta, ch'ella brama di vederti. Bertoldo. Tanto per male, quanto per bene si portano le ambasciate.
Re. La conscienza sempre rimorde l'uomo tristo. Bertoldo. Il riso della corte non si confà con quello della villa.
Re. L'innocente passa libero fra le bombarde. Bertoldo. La donna irata, la fiamma impicciata e la padella forata son di gran danno in casa.
Re. Spesso interviene all'uomo tristo quello ch'ei teme. Bertoldo. Il gambaro spesse volte salta fuora della padella per salvarsi, e si trova nelle bragie.
Re. Chi semina iniquità raccoglie de' mali. Bertoldo. Sotto la scuffia bianca spesso vi sta la tigna ascosa.
Re. Chi ha intricato la tela la destriga.
Bertoldo. Mal si può destricare, quando i capi sono avviluppati.
Re. Chi semina le spine non vada senza scarpe.
Bertoldo. Non si può combattere contra più forti di sé.
Re. Non temere che alcuno ti faccia oltraggio.
Bertoldo. Al buon confortatore non duole il capo.
Re. Temi tu forsi che la Regina ti facci dispiacere?
Bertoldo. Donna iraconda, mar senza sponda.
Re. La Regina è tutta piacevole e brama di vederti; però va' via allegramente, e non dubitare. Bertoldo. In ultimo se ne dirà, e tal ride che piangerà.
Bertoldo è condotto dalla Regina.
Così Bertoldo fu condotto dalla Regina, la quale avendo inteso, come vi dissi, la burla fatta a quelle donne il giorno innanzi, aveva fatto preparare alquanti bastoni e commesso alle sue donne che, serratolo in una camera, gli sbattessero ben bene la polvere di sul mantello; e, subito ch'essa lo vide, mirando quel mostruoso aspetto, tutta sdegnata, disse: Regina. Mira che ceffo di babuino.
Bertoldo. Il laveggio grida dietro la padella.
Regina.
Come t'addimandi tu? Bertoldo. Io non domando nulla.
Regina.
Come ti chiami?
Bertoldo. Chi mi chiama, io gli rispondo.
Regina.
Dico come tu t'appelli. Bertoldo. Io non mi sono mai pelato, ch'io mi ricorda Mentre che la Regina interrogava Bertoldo, una delle serve portò di nascosto un vaso pieno d'acqua per fargli batter dentro il sedere, ma il villano astuto, accortosi di ciò, stava molto bene avvertito, e subito pensò una nuova astuzia, seguitando pur la Regina il suo parlare. Astuzia di Bertoldo, perché non gli fusse bagnato il podice.
Regina.
Come fai tu tante astuzie, che tu pari un indovino?
Bertoldo. Ogni volta che mi vien adacquato il sedere, io indovino ogni cosa, e so se una donna fa l'amore e se ella ha mai fatto errore con alcuno, e s'ella è casta overo impudica; e in somma io indovino ogni cosa, e se vi fusse chi mi volesse bagnar di dietro io vi saprei dir ogni cosa adesso, adesso.