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Bertoldo e Bertoldino (col Cacasenno di Aldo Banchieri) - 1. Le sottilissime astuzie di Bertoldo, 02. Fattezze di Bertoldo. Audacia di Bertoldo. Ragionamento fra il Re e Bertoldo

Le sottilissime astuzie di Bertoldo.

Nel tempo che il Re Alboino, Re dei Longobardi si era insignorito quasi di tutta Italia, tenendo il seggio reggale nella bella città di Verona, capitò nella sua corte un villano, chiamato per nome Bertoldo, il qual era uomo difforme e di bruttissimo aspetto; ma dove mancava la formosità della persona, suppliva la vivacità dell'ingegno: onde era molto arguto e pronto nelle risposte, e oltre l'acutezza dell'ingegno, anco era astuto, malizioso e tristo di natura. E la statura sua era tale, come qui si descrive.

Fattezze di Bertoldo.

Prima, era costui picciolo di persona, il suo capo era grosso e tondo come un pallone, la fronte crespa e rugosa, gli occhi rossi come di fuoco, le ciglia lunghe e aspre come setole di porco, l'orecchie asinine, la bocca grande e alquanto storta, con il labro di sotto pendente a guisa di cavallo, la barba folta sotto il mento e cadente come quella del becco, il naso adunco e righignato all'insù, con le nari larghissime; i denti in fuori come il cinghiale, con tre overo quattro gosci sotto la gola, i quali, mentre che esso parlava, parevano tanti pignattoni che bollessero; aveva le gambe caprine, a guisa di satiro, i piedi lunghi e larghi e tutto il corpo peloso; le sue calze erano di grosso bigio, e tutte rappezzate sulle ginocchia, le scarpe alte e ornate di grossi tacconi. Insomma costui era tutto il roverso di Narciso.

Audacia di Bertoldo.

Passò dunque Bertoldo per mezzo a tutti quei signori e baroni, ch'erano innanzi al Re, senza cavarsi il cappello né fare atto alcuno di riverenza e andò di posta a sedere appresso il Re, il quale, come quello che era benigno di natura e che ancora si dilettava di facezie, s'immaginò che costui fosse qualche stravagante umore, essendo che la natura suole spesse volte infondere in simili corpi mostruosi certe doti particolari che a tutti non è così larga donatrice; onde, senza punto alterarsi, lo cominciò piacevolmente ad interrogare, dicendo: Ragionamento fra il Re e Bertoldo. Re. Chi sei tu, quando nascesti e di che parte sei?

Bertoldo.

Io son uomo, nacqui quando mia madre mi fece e il mio paese è in questo mondo.

Re. Chi sono gli ascendenti e descendenti tuoi?

Bertoldo.

I fagiuoli, i quali bollendo al fuoco vanno ascendendo e descendendo su e giù per la pignatta.

Re. Hai tu padre, madre, fratelli e sorelle?

Bertoldo.

Ho padre, madre, fratelli e sorelle, ma sono tutti morti.

Re. Come gli hai tu, se sono tutti morti?

Bertoldo.

Quando mi partii da casa io gli lasciai che tutti dormivano e per questo io dico a te che tutti sono morti; perché, da uno che dorme ad uno che sia morto io faccio poca differenza, essendo che il sonno si chiama fratello della morte.

Re. Qual è la più veloce cosa che sia?

Bertoldo.

Il pensiero.

Re. Qual è il miglior vino che sia?

Bertoldo.

Quello che si beve a casa d'altri. Re. Qual è quel mare che non s'empie mai? Bertoldo.

L'ingordigia dell'uomo avaro. Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un giovane?

Bertoldo.

La disubbidienza.

Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un vecchio?

Bertoldo.

La lascivia.

Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un mercante?

Bertoldo.

La bugia.

Re. Qual è quella gatta che dinanzi ti lecca e di dietro ti sgraffa?

Bertoldo.

La puttana.

Re. Qual è il più gran fuoco che sia in casa?

Bertoldo.

La mala lingua del servitore.

Re. Qual è il più gran pazzo che sia?

Bertoldo.

Colui che si tiene il più savio.

Re. Quali sono le infermità incurabili?

Bertoldo.

La pazzia, il cancaro e i debiti.

Re. Qual è quel figlio ch'abbrugia la lingua a sua madre? Bertoldo.

Lo stuppino della lucerna.

Re. Come faresti a portarmi dell'acqua in un crivello e non la spandere? Bertoldo.

Aspettarei il tempo del ghiaccio, e poi te la porterei.

Re. Quali sono quelle cose che l'uomo le cerca e non le vorria trovare? Bertoldo.

I pedocchi nella camicia, i calcagni rotti e il necessario brutto.

Re. Come faresti a pigliar un lepre senza cane?

Bertoldo.

Aspettarei che fosse cotto e poi lo pigliarei.

Re. Tu hai un buon cervello, s'ei si vedesse. Bertoldo.

E tu saresti un bell'umore, se non rangiasti. Re. Orsù, addimandami ciò che vuoi, ch'io son qui pronto per darti tutto quello che tu mi chiederai. Bertoldo.

Chi non ha del suo non può darne ad altri.

Re. Perché non ti poss'io dare tutto quello che tu brami? Bertoldo.

Io vado cercando felicità, e tu non l'hai; e però non puoi darla a me. Re. Non son io dunque felice, sedendo sopra questo alto seggio, come io faccio?

Bertoldo.

Colui che più in alto siede, sta più in pericolo di cadere al basso e precipitarsi.

Re. Mira quanti signori e baroni mi stanno attorno per ubidirmi e onorarmi.

Bertoldo.

Anco i formiconi stanno attorno al sorbo e gli rodono la scorza.

Re. Io splendo in questa corte come propriamente splende il sole fra le minute stelle.

Bertoldo.

Tu dici la verità, ma io ne veggio molte oscurate dall'adulazione. Re. Orsù, vuoi tu diventare uomo di corte?

Bertoldo.

Non deve cercar di legarsi colui che si trova in libertà.

Re. Chi t'ha mosso dunque a venir qua? Bertoldo.

Il creder io che un re fosse più grande di statura degli altri uomini dieci o dodeci piedi, e che esso avanzasse sopra tutti come avanzano i campanili sopra tutte le case; ma io veggio che tu sei un uomo ordinario come gli altri, se ben sei re.

Re. Son ordinario di statura sì, ma di potenza e di ricchezza avanzo sopra gli altri, non solo dieci piedi ma cento e mille braccia. Ma chi t'induce a fare questi ragionamenti? Bertoldo.

L'asino del tuo fattore. Re. Che cosa ha da fare l'asino del mio fattore con la grandezza della mia corte? Bertoldo.

Prima che fosti tu, né manco la tua corte, l'asino aveva raggiato quattro mill'anni innanzi. Re. Ah, ah, ah! Oh sì che questa è da ridere.

Bertoldo.

Le risa abbondano sempre nella bocca de' pazzi. Re. Tu sei un malizioso villano.

Bertoldo.

La mia natura dà così.

Re. Orsù, io ti comando che or ora tu ti debbi partire dalla presenza mia, se non io ti farò cacciare via con tuo danno e vergogna.

Bertoldo.

Io anderò, ma avvertisci che le mosche hanno questa natura, che se bene sono cacciate via, ritornano ancora: però se tu mi farai cacciar via, io tornerò di nuovo ad insidiarti.

Re. Or va'; e se non torni a me come fanno le mosche, io ti farò battere via il capo.

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Le sottilissime astuzie di Bertoldo.

Nel tempo che il Re Alboino, Re dei Longobardi si era insignorito quasi di tutta Italia, tenendo il seggio reggale nella bella città di Verona, capitò nella sua corte un villano, chiamato per nome Bertoldo, il qual era uomo difforme e di bruttissimo aspetto; ma dove mancava la formosità della persona, suppliva la vivacità dell'ingegno: onde era molto arguto e pronto nelle risposte, e oltre l'acutezza dell'ingegno, anco era astuto, malizioso e tristo di natura. E la statura sua era tale, come qui si descrive.

Fattezze di Bertoldo.

Prima, era costui picciolo di persona, il suo capo era grosso e tondo come un pallone, la fronte crespa e rugosa, gli occhi rossi come di fuoco, le ciglia lunghe e aspre come setole di porco, l'orecchie asinine, la bocca grande e alquanto storta, con il labro di sotto pendente a guisa di cavallo, la barba folta sotto il mento e cadente come quella del becco, il naso adunco e righignato all'insù, con le nari larghissime; i denti in fuori come il cinghiale, con tre overo quattro gosci sotto la gola, i quali, mentre che esso parlava, parevano tanti pignattoni che bollessero; aveva le gambe caprine, a guisa di satiro, i piedi lunghi e larghi e tutto il corpo peloso; le sue calze erano di grosso bigio, e tutte rappezzate sulle ginocchia, le scarpe alte e ornate di grossi tacconi. Insomma costui era tutto il roverso di Narciso.

Audacia di Bertoldo.

Passò dunque Bertoldo per mezzo a tutti quei signori e baroni, ch'erano innanzi al Re, senza cavarsi il cappello né fare atto alcuno di riverenza e andò di posta a sedere appresso il Re, il quale, come quello che era benigno di natura e che ancora si dilettava di facezie, s'immaginò che costui fosse qualche stravagante umore, essendo che la natura suole spesse volte infondere in simili corpi mostruosi certe doti particolari che a tutti non è così larga donatrice; onde, senza punto alterarsi, lo cominciò piacevolmente ad interrogare, dicendo:

Ragionamento fra il Re e Bertoldo.

Re. Chi sei tu, quando nascesti e di che parte sei?

Bertoldo. Io son uomo, nacqui quando mia madre mi fece e il mio paese è in questo mondo.

Re. Chi sono gli ascendenti e descendenti tuoi?

Bertoldo. I fagiuoli, i quali bollendo al fuoco vanno ascendendo e descendendo su e giù per la pignatta.

Re. Hai tu padre, madre, fratelli e sorelle?

Bertoldo. Ho padre, madre, fratelli e sorelle, ma sono tutti morti.

Re. Come gli hai tu, se sono tutti morti?

Bertoldo. Quando mi partii da casa io gli lasciai che tutti dormivano e per questo io dico a te che tutti sono morti; perché, da uno che dorme ad uno che sia morto io faccio poca differenza, essendo che il sonno si chiama fratello della morte.

Re. Qual è la più veloce cosa che sia?

Bertoldo. Il pensiero.

Re. Qual è il miglior vino che sia?

Bertoldo. Quello che si beve a casa d'altri.

Re. Qual è quel mare che non s'empie mai?

Bertoldo. L'ingordigia dell'uomo avaro.

Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un giovane?

Bertoldo. La disubbidienza.

Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un vecchio?

Bertoldo. La lascivia.

Re. Qual è la più brutta cosa che sia in un mercante?

Bertoldo. La bugia.

Re. Qual è quella gatta che dinanzi ti lecca e di dietro ti sgraffa?

Bertoldo. La puttana.

Re. Qual è il più gran fuoco che sia in casa?

Bertoldo. La mala lingua del servitore.

Re. Qual è il più gran pazzo che sia?

Bertoldo. Colui che si tiene il più savio.

Re. Quali sono le infermità incurabili?

Bertoldo. La pazzia, il cancaro e i debiti.

Re. Qual è quel figlio ch'abbrugia la lingua a sua madre?

Bertoldo. Lo stuppino della lucerna.

Re. Come faresti a portarmi dell'acqua in un crivello e non la spandere?

Bertoldo. Aspettarei il tempo del ghiaccio, e poi te la porterei.

Re. Quali sono quelle cose che l'uomo le cerca e non le vorria trovare?

Bertoldo. I pedocchi nella camicia, i calcagni rotti e il necessario brutto.

Re. Come faresti a pigliar un lepre senza cane?

Bertoldo. Aspettarei che fosse cotto e poi lo pigliarei.

Re. Tu hai un buon cervello, s'ei si vedesse.

Bertoldo. E tu saresti un bell'umore, se non rangiasti.

Re. Orsù, addimandami ciò che vuoi, ch'io son qui pronto per darti tutto quello che tu mi chiederai.

Bertoldo. Chi non ha del suo non può darne ad altri.

Re. Perché non ti poss'io dare tutto quello che tu brami?

Bertoldo. Io vado cercando felicità, e tu non l'hai; e però non puoi darla a me.

Re. Non son io dunque felice, sedendo sopra questo alto seggio, come io faccio?

Bertoldo. Colui che più in alto siede, sta più in pericolo di cadere al basso e precipitarsi.

Re. Mira quanti signori e baroni mi stanno attorno per ubidirmi e onorarmi.

Bertoldo. Anco i formiconi stanno attorno al sorbo e gli rodono la scorza.

Re. Io splendo in questa corte come propriamente splende il sole fra le minute stelle.

Bertoldo. Tu dici la verità, ma io ne veggio molte oscurate dall'adulazione.

Re. Orsù, vuoi tu diventare uomo di corte?

Bertoldo. Non deve cercar di legarsi colui che si trova in libertà.

Re. Chi t'ha mosso dunque a venir qua?

Bertoldo. Il creder io che un re fosse più grande di statura degli altri uomini dieci o dodeci piedi, e che esso avanzasse sopra tutti come avanzano i campanili sopra tutte le case; ma io veggio che tu sei un uomo ordinario come gli altri, se ben sei re.

Re. Son ordinario di statura sì, ma di potenza e di ricchezza avanzo sopra gli altri, non solo dieci piedi ma cento e mille braccia. Ma chi t'induce a fare questi ragionamenti?

Bertoldo. L'asino del tuo fattore.

Re. Che cosa ha da fare l'asino del mio fattore con la grandezza della mia corte?

Bertoldo. Prima che fosti tu, né manco la tua corte, l'asino aveva raggiato quattro mill'anni innanzi.

Re. Ah, ah, ah! Oh sì che questa è da ridere.

Bertoldo. Le risa abbondano sempre nella bocca de' pazzi.

Re. Tu sei un malizioso villano.

Bertoldo. La mia natura dà così.

Re. Orsù, io ti comando che or ora tu ti debbi partire dalla presenza mia, se non io ti farò cacciare via con tuo danno e vergogna.

Bertoldo. Io anderò, ma avvertisci che le mosche hanno questa natura, che se bene sono cacciate via, ritornano ancora: però se tu mi farai cacciar via, io tornerò di nuovo ad insidiarti.

Re. Or va'; e se non torni a me come fanno le mosche, io ti farò battere via il capo.